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domenica 11 maggio 2014

Immigrazione e reato di clandestinità. Quei facili slogan che creano paure.


Parlare oggi d’immigrazione significa affrontare una realtà particolarmente complessa.
Per qualcuno infiammare gli animi, suscitare allarmi immotivati, trasmettere rappresentazioni non veritiere e ansiogene. Per altri parlare di un movimento epocale determinato dalla speranza, per una moltitudine di persone, di lasciarsi alle spalle miseria e sofferenze. Inutile negare che lo sradicamento dalla società di origine e la convivenza con regole, norme, costumi e valori, a volte nemmeno compresi, rende difficoltoso l’inserimento di alcune di queste persone.
E’ chiaro però che non è con gli slogan che si risolvono i problemi.
Chi parla della necessità di “fermare l’invasione” dovrebbe prima di tutto rileggersi i giornali d’inizio secolo che descrivevano l’emigrazione di milioni d’italiani costretti a lasciare il Paese per cercare la stessa fortuna. E magari cominciare a raccontare le cose come stanno. Per esempio, riguardo al reato di clandestinità, dire che al momento non è stato abolito, ma è ancora vivo e vegeto. Infatti la legge 67/2014, “Deleghe al governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio”, concede 18 mesi di tempo al governo per abrogare il reato d’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato.
L’art. 2, comma 3, lettera b indica di “abrogare, trasformandolo in illecito amministrativo, il reato previsto dall'articolo 10-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione”. Tradotto, significa che una volta abrogato il reato di clandestinità sarà più facile espellere chi entrerà nel nostro Paese senza permesso di soggiorno. A differenza di oggi, (dove il reato non prevede comunque la galera ma solo una multa), non si dovrà istituire un procedimento penale ogni volta, con i tempi e i costi che ne derivano.
Questa la realtà, e risulta difficile comprendere (o forse si comprende benissimo) come qualcuno cerchi di travisare la realtà creando tensioni e paure ingiustificate. Tra l’altro, probabilmente per la crisi, molti lavoratori stranieri stanno abbandonando il nostro Paese, lasciando nelle casse dell’INPS i contributi versati (almeno per quei Paesi che non hanno accordi bilaterali su questo tema).
E questo non è un bene, (che se ne vadano intendo) pensando ai 7,5 miliardi di contributi versati ogni anno all’INPS da questi lavoratori. Considerata l’età media nettamente più bassa di quella degli italiani (31,1 anni contro 43,5) è chiaro che sono pochissimi gli immigrati che oggi percepiscono la pensione.
In pratica queste persone danno all’INPS più di quanto ricevono e questo è destinato a durare per diversi anni, con innegabili benefici per il sistema previdenziale.
Insomma. Senza negare i problemi che qualsiasi coesistenza può generare, prendiamo atto che gli immigrati costituiscono ormai una realtà ineludibile con cui dobbiamo fare i conti e con cui dobbiamo coesistere.
Piaccia o non piaccia.

Johannes Bückler

11 Maggio 2014 - Corriere della Sera - Bergamo - Leggi qui >>>>>

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