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sabato 22 marzo 2014

E se il miracolo del Nord Est non fosse mai cominciato?


Un abbaglio per politici e sociologi.

ORA si dice - lo dice una approfondita ricerca della Fondazione Nord Est - che il miracolo è finito.
Ma forse il miracolo del Nordest non è mai cominciato, non c'è mai stato; è stato solo la parabola di un abbaglio che politici e sociologi hanno interpretato come più faceva loro comodo, ma dietro il quale non c'era nulla di quanto veniva millantato.
Chi di anni non ne ha più pochi non farà fatica a tornare indietro di due o tre decenni, quando il Nordest era l'area povera dell'Italia centro-settentrionale; laboriosa, certo, ma povera.
Era decentrata geograficamente poiché confinava con i Paesi del blocco comunista con i quali gli scambi erano pochi e difficili. Le fabbriche di elettrodomestici e di vestiario, per quanto rilevanti, erano ben lontane dall'attribuire a quell'area una connotazione industriale, prevalendo una moltitudine di imprese di piccole dimensioni con un carattere prettamente familiare non solo nel senso che appartenevano integralmente ad una famiglia, ma anche nel senso che il patrimonio dell'aziende si confondeva in quello della famiglia e questo in quello, così asservendo l'impresa all'unica missione di soddisfare le esigenze economiche e sociali della famiglia.
Insomma, un capitalismo diffuso, ma elementare, molecolare e con poche prospettive di una evoluzione.

Negli anni a cavallo tra gli anni '80 ed i '90 su quest'area piovve la manna. Lo sfaldamento dell'impero sovietico fece cadere ogni barriera verso Paesi acculturati, ma economicamente arretrati e con costi conseguentemente bassissimi. Inoltre, la crisi valutaria determinò una svalutazione della lira di inusitata dimensione. Il sistema produttivo del nordest, di conseguenza, conobbe un incremento di competitività eccezionale nel momento in cui gli si aprivano nuovi mercati famelici di prodotti occidentali anche con scarso contenuto di tecnologia. Inizialmente quella regione potè così registrare incrementi delle esportazioni a due cifre, con conseguente forte aumento del reddito prodotto e del reddito pro-capite. Il resto dell'Italia sostenne solo i costi, in termini di ristrettezze e sacrifici, del deprezzamento della lira e del successivo risanamento della finanza pubblica, il nordest invece si trovò nella condizione di poterlo ampiamente compensare con l'exploit delle esportazioni e del reddito dovuto non tanto ad una maggiore abilità e ad un maggiore impegno rispetto al resto del Paese, ma solo alla particolare congiunzione di eventi eccezionali della quale si trovò a beneficiare.
Ed infatti il Bengodi è durato poco. Salvo poche illuminate eccezioni, l'imprenditoria del nordest, blandita da politici, sociologi e mezzi di informazione, non ha riconosciuto il favore che gli è venuto da circostanze esterne.
Se lo avesse riconosciuto, ne avrebbe colto la transitorietà e, forse, avrebbe adottato per tempo le strategie per consolidarlo in nuovi, diversi e più affidabili punti di forza. Non avendolo riconosciuto, ma anzi attribuendolo alle sue capacità e virtù, una volta esaurito l'effetto di quelle circostanze tutto il fenomeno nordest si è afflosciato, spento.
Per un po' gli imprenditori del nordest hanno cercato di alimentarlo aprendo fabbriche ad est. Una certa letteratura agiografica ha chiamato questo fenomeno internazionalizzazione. In qualche caso può anche calzare, ma in genere si è trattato solo di un tentativo di reggere il mercato senza affrontare impegnativi cambiamenti: le centinaia e centinaia di fabbriche di Timisoara e del resto della Romania non rappresentano un passo avanti, ma un passo indietro: sono per lo più una replica del mondo, del costo del lavoro, del tipo di organizzazione, molto spesso anche della tecnologia propri del sistema produttivo italiano di trenta, quaranta e forse anche più anni fa.
Se non altro in virtù dei bassi costi e del bassi prezzi per un po' il mercato è stato retto meglio che con le produzioni realizzate in Italia, ma ora anche questo escamotage mostra la corda, come tutte le strategie basate esclusivamente sulla compressione dei costi anziché sulla innovazione e sulla tecnologia. La bestia nera della concorrenza internazionale alla quale viene imputata la fine del miracolo del nordest è la Cina, ritenuta forte non solo per i bassi costi, ma anche per i contenuti tecnologici di molte sue produzioni.
La Cina è il Paese immenso che tutti sappiamo, ma solo in questi anni si sta affrancando da un secolare sottosviluppo e da una economia dirigista e burocratizzata. Se sta spiazzando la produzione dell'area ritenuta più dinamica ed aggressiva di un Paese che si vanta di essere la quinta potenza economica del mondo, significa che il sistema produttivo di questo Paese molto ha sbagliato e molto continua a sbagliare.
Dieci anni fa sul nordest era piovuta la manna, ed ora già non ne rimane quasi niente.

Da La Stampa a firma Alfredo Recanatesi. Lunedì 14 Luglio 2003

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