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giovedì 10 aprile 2014

Il buonsenso è fuorilegge. Evasione fiscale e sentenza beffa.


Una cosa è certa, siamo sempre in leggera controtendenza e la cosa accade da molto, troppo tempo.
Per esempio negli altri Paesi i nomi e i simboli dei partiti sono sempre quelli, mentre a cambiare sono le persone, i politici di riferimento. Da noi nel corso degli anni sono cambiati i nomi, i simboli, ma gli uomini sono rimasti più o meno gli stessi.
Negli altri Paesi sorgono movimenti contro un alto livello di tassazione, ma composti da persone che le tasse comunque le pagano. Perché le leggi prima si rispettano e poi si cambiano, almeno così dicono. Da noi (forse per portarci avanti, vuoi mai) prima abbiamo creato i movimenti che protestano, e poi forse un giorno finiremo col pagarle tutti ‘ste benedette tasse.
Da noi, rispetto agli altri Paesi, dove la tassazione è più alta sui patrimoni e meno sui redditi, è esattamente il contrario. Per poi finire a domandarci perché la gente fatica a consumare.
Negli altri Paesi “tu sei tu” e rimani “tu” per tutta la vita. Da noi per essere certo che “tu sei tu” ti devi presentare davanti a un notaio che garantisce ogni volta che “tu sei tu, ma fanno 100 euro”. E non riesci nemmeno ad arrabbiarti.
In molti Paesi non esiste il reato di abusivismo edilizio perché, dicono, “dovrei costruire una casa dove non si può”? Infatti, a pensarci bene, è una cosa che ci chiediamo in molti.
Da noi ci sono 150 miliardi di evasione fiscale, ma per qualcuno non è un problema perché sono soldi che fanno girare l’economia. Poichè anche la corruzione non è certo da meno e la criminalità organizzata è sicuramente tanto PIL, sta a vedere che il principale ostacolo alla crescita sono le persone oneste.
Gli altri Paesi hanno un terzo delle nostre leggi. Da noi, per obbligare la gente a mettere le cinture di sicurezza che ti salvano la vita, devi scriverne una apposta e sottoporla al Parlamento. In pratica legiferare persino sul buonsenso.
E allora, diciamo la verità, non ti sorprendi più di niente. Nemmeno di fronte a una fresca sentenza della Corte Costituzionale, esattamente l’80/2014 del 7/4. Ad appellarsi alla Consulta un imprenditore di Torre Boldone, legale rappresentante di due società che commerciano in abbigliamento e calzature. Nel 2008 e nel 2009 aveva dichiarato, ma non pagato, circa 145.000 euro. Il suo avvocato aveva sollevato l’illegittimità dell’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000 in quanto (udite, udite), se il suo cliente avesse omesso la dichiarazione Iva, invece di presentarla regolarmente e non versarla, non avrebbe commesso nessun reato. Così recita la legge. E la sentenza della Consulta non poteva che essere: “Considerato in diritto che ….il citato art. è ritenuto in contrasto con l’art. 3 della Costituzione anche dal Tribunale di Bergamo…dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74”.
Ora mi domando: ci voleva proprio un’istituzione come la Corte Costituzionale per capire l’assurdità di quella norma? Per bocciare il principio per cui è più conveniente essere un evasore totale piuttosto che dichiarare il giusto e non pagare?
Riusciremo mai a invertire quella leggera e maledetta controtendenza rispetto agli altri Paesi nel modo di legiferare?
Riusciremo mai a mettere un pizzico di buonsenso nelle cose che facciamo?
Oppure, come scrisse Bernard Grasset, “la soluzione del buonsenso è sempre l’ultima a cui pensano gli esperti”?

Johannes Bückler

10 Aprile 2014 - Corriere della Sera - Bergamo - Leggi qui >>>>>

martedì 2 aprile 2013

Imprenditore fallito, non ricominciamo con il solito sport del tiro ad Equitalia.


Caro Direttore,
la vicenda dell’imprenditore di Fara Gera d’Adda, assolto dall’accusa di bancarotta fraudolenta, ha riportato alla ribalta uno dei molti sport nazionali.
Dopo il calcio e l’evasione fiscale, il tiro a Equitalia.
Ce ne sono altri, certo. Per esempio il tiro allo Stato (che siamo noi..in pratica ci spariamo sui piedi) e il tiro al politico (di regola dell’altro schieramento).
Ma fra tutti, il tiro a Equitalia sembra non risentire di problemi stagionali, tipici di altri sport. E allora meglio ribadire (e questa è l’ennesima volta…teste dure?) che Equitalia è solo un’Agenzia di riscossione.
 Punto e basta.
Che Equitalia, con i problemi di questo genere, non c’entra un fico secco.
Qui poi si parla di cartelle esattoriali di 20 anni fa, quando Equitalia nemmeno esisteva e le esattorie erano private, proprio quelle che qualcuno vorrebbe utilizzare per sostituirla Equitalia, ma guarda un po’.
Ripetere, anche qui per l’ennesima volta, che non esiste nessun principio giuridico in cui si parli di “selezione” o in base a una decisione assunta da qualcuno.
Non è compito di Equitalia questo sì, questo no.
Certo, il fatto che agli atti del processo sia scritto”..per pagare le cartelle esattoriali di Equitalia…” (da qui il titolo “Per pagare Equitalia fallisce. I giudici lo assolvono”) non ha certo aiutato, ma (si evince da molti commenti dei lettori) che Equitalia si diverta a far fallire poveri imprenditori è mera propaganda, di quella becera poi, poiché, per il clima di tensione che si alimenta, poi ad andarci di mezzo sono i dipendenti di quest’agenzia (in questi giorni ci sono stati altri atti intimidatori nei confronti del personale.)
Nel merito della vicenda (e per i soli dati pubblicati) che dire.
Di sicuro che i debiti della vecchia società non erano certo di soli 12 milioni di lire (circa 6000 euro).
Che molte risorse sono sicuramente state sottratte dai soci (interessante sapere per farne che).
È chiaro che l’imprenditore (che non contesta i suoi debiti con lo Stato e questo gli fa onore) aveva ingenti debiti soprattutto con le banche.
Che la sua attività è andata in crisi per la concorrenza cinese (e qui Equitalia che c’entra?).
Nella parte finale dell'articolo poi l'imprenditore racconta che oggi abita con la famiglia nel suo ex capannone in attesa che vada all’asta.
Asta che, giusto puntualizzare, non è stata chiesta da Equitalia.
Insomma, al di là di questa vicenda, non si perde occasione per attaccare chi cerca di recuperare risorse furbescamente sottratte alla collettività (negli altri Paesi la pratica più diffusa è invece il tiro all’evasore, ma guarda te).
Giusto sarebbe indignarsi invece contro chi, pur di non pagare le tasse, venderebbe l’anima al diavolo.
E scommetto, pure qui, senza scontrino.

Un caro saluto

Johannes Bückler
P.S. Comunque, stante le cose come sono state raccontate, sono certo che l’imprenditore saprà risollevarsi. La forza di volontà non gli manca certo. Gli faccio tanti auguri.

02 Aprile 2013 Corriere della Sera - Bergamo - Vedi qui >>>>>  

sabato 19 gennaio 2013

L'evasione fiscale in campagna elettorale.

Caro Johannes,
siamo in piena campagna elettorale e, come sempre succede, chiunque si proponga per raccogliere consenso, "inverte" il senso di marcia del tema fiscale.
La lotta all'evasione, da bandiera innalzata fino al giorno prima come simbolo di una voglia di cambiamento per rendere più' equa e civile la società in cui viviamo, diviene di colpo uno sterile slogan, decisamente surclassato dall'enfatico "grido di dolore" che attraversa lo "stivale" per sottolineare il primario obiettivo di chi si candida, quello di ridurre il peso fiscale divenuto insostenibile per ogni cittadino.
Che dire? Sicuramente l'argomento ha forte presa elettorale e, tra i destinatari del messaggio, ben pochi ne intravedono la sterilità.
Questo modo di procedere, infatti, non porterà' da nessuna parte: non a una societa' piu' equa (non e' forse anche questo un nobile obiettivo della politica?); non a un processo di risanamento del debito pubblico, "palla al piede" storica che impedisce al paese di crescere da almeno un ventennio (ridurre le spese e combattere l'evasione per poter contenere e ridistribuire il giusto e necessario contributo di ogni componente della collettività al fine di far funzionare la "macchina sociale").
Noi Buckler, pero', siamo testardi e non ci facciamo distrarre; a costo di attirarci impopolarità continuiamo, anche sotto elezioni, a perseguire i nostri obiettivi senza sovvertirne la gerarchia.
L'evasione fiscale resta sul podio e, al riguardo, vorrei qui sottolineare il mio profondo stupore nel constatare il generalizzato dissenso verso il "redditometro", marchingegno non nuovo, recentemente rivisitato e messo in pista quale strumento idoneo a tentare di ricomporre a livelli meno patologici il tasso di evasione.
I media, gli esperti, i rappresentanti delle varie categorie economiche, tutti a criticare tale "strumento", da rifiutare vuoi per fuorvianti carenze tecniche idonee a generare falsi evasori, vuoi per la sicura conseguenza dell'azzeramento della volontà' consumistica, vuoi per manifesta finalita' di instaurare ingerenze nella vita dei cittadini, quando non addirittura uno Stato di polizia e così via.
Anch'io sono convinto che il redditometro abbia dei difetti, ma nel senso opposto di quello che paventano i richiamati detrattori (mi fermo perché l'analisi mi porterebbe lontano).
In ogni caso, valutandolo per quello che oggi ci viene proposto, occorre plaudire a un sistema che, quanto meno, tenta di abbattere quella che a me pare la "fascia" più intollerabile dell'evasione fiscale: la mancata copertura del tenore di vita.
Se spendo 100, sicuramente devo aver guadagnato qualcosa in più (reddito lordo) che (pagate le tasse) mi abbia consentito di avere una capacita' di spesa (reddito netto) di 100; in caso contrario le mie spese (cioè il mio tenore di vita) restano a carico di quella parte della comunità costituita dai contribuenti onesti (cioè i più fessi).
Il redditometro, con grandi approssimazioni tutte a favore del contribuente, tende a questo semplice ma importante obiettivo, imperniato sulla banale ed elementare constatazione che quanto spendo lo devo aver guadagnato: se ho il Suv, devo potermelo permettere con il mio "reddito dichiarato", altrimenti sono "altri" che me lo hanno pagato e me lo mantengono.
Calano gli acquisti? Evidentemente perché molti erano effettuati da " veri benestanti" mascherati da "finti poveri": questi ultimi si dovranno rassegnare ad uscire allo scoperto dal punto di vista reddituale, così potranno godersi il meritato benessere senza sfruttare simbiosi parassitarie a carico degli onesti contribuenti.
Ridicoli, perché infondati, i tentativi di "terrorizzare" i genitori e i nonni che aiutano economicamente figli e nipoti: la tracciabilita' dei loro interventi economici e' facilissima e il Fisco vedrà immediatamente soddisfatta la propria curiosità, senza poter procedere oltre a danno del contribuente. Qui mi fermo, sperando di non aver annoiato oltremisura.
Mi pareva doveroso, peraltro, uscire dal coro per spezzare una lancia a favore di un tema attuale che, ogni giorno che passa, vede aumentare le fila dei "detrattori".
Accidenti..., dimenticavo: siamo sotto elezioni.

Un caro saluto a tutti

Samuel Adams

venerdì 14 settembre 2012

Evasione fiscale: occorre fare gli opportuni distinguo.

Caro Johannes,
le tue riflessioni nella "serata d'evasione" che ti sei concessa, con relativa "fotografia a colori", sono tutte molto accattivanti nella forma e puntuali nella sostanza.
Il mio punto di vista (qualche Buckler,in passato, ci aveva accusati di essere troppo in sintonia di pensiero!), peraltro, in alcuni passaggi, si allontana dal tuo, ritenendolo troppo generalizzante.
Analizzando l'elenco delle concrete fattispecie richiamate, tutte connotate da comprovate e storiche "fasi patologiche" che coinvolgono ognuno di noi nei rispettivi "quotidiani", nessuno potrebbe darti torto.
Se l'evasione fiscale fosse risolvibile semplicemente facendo appello all'etica, dovremmo dire che tra il dipendente turnista che "arrotonda" con qualche lavoretto in nero e il bagnino romagnolo che nel 2010 ha mediamente dichiarato un reddito complessivo lordo di 8.900 euro non esiste alcuna differenza.
Personalmente non riesco a convincermi che rubare una mela e rubare un milione di euro sia la stessa cosa.
Ne consegue che anche tra gli evasori e i vari modi di evadere a mio avviso, occorre fare dei distinguo.
Tra il turnista da te evocato e il mio bagnino la profonda differenza e' questa: il primo, immaginando che possa realizzare in nero compensi per circa il 20% del proprio stipendio, di fatto si autoriduce la propria aliquota media di tassazione e si troverà, all'incirca, a fare i conti con un carico fiscale piu' "umano" (al riguardo ricordo che uno degli alibi piu' ricorrenti adottato dagli evasori e' quello di sostenere che le aliquote sono troppo alte); il mio bagnino, al contrario, non ha alibi: dichiarare mediamente 8.900 euro lordi (valore pressoché corrispondente al netto, dato che il carico fiscale a questi livelli e' prossimo allo zero) significa che piu' che di 'evasione da sopravvivenza' si tratta di 'evasione da parassitismo', cioè cosciente volontà di trasferire agli altri "fessi" che pagano le tasse l'onere che spetterebbe a ogni cittadino "quale diritto di appartenenza alla collettività" oltre, evidentemente, a far gravare sulle spalle dei contribuenti onesti quota significativa del proprio "tenore di vita".
I distinguo sarebbero ben piu' numerosi, ma non voglio annoiare.
Nei confronti dell'evasione fiscale, resta peraltro inteso, sono per la tolleranza zero e, personalmente, non mi concedo "sconti" e "deroghe".
Ma l'entità del fenomeno mi induce a ritenere che, pragmaticamente, dovremo accontentarci di procedere per tappe.
A mio avviso la prima deve necessariamente essere quella che impone a ogni cittadino di sostenere un tenore di vita consono ai redditi dichiarati: diversamente i suoi consumi e, peggio, i suoi lussi li paga il contribuente onesto.
Questa situazione non assomiglia per niente a un modo civile di condividere l'esistenza all'interno di una collettività.
Attivare un sistema di controllo che consenta di monitorare le spese di ognuno di noi nell'arco dell'anno, nell'era dell'elettronica, e' impresa tutt'altro che impossibile.
Ringrazio per l'eventuale ospitalità e a presto risentirci.
Samuel Adams

mercoledì 27 giugno 2012

Io sto con la maggioranza silenziosa.


Lettera pubblicata sul dorso di Bergamo del Corriere della Sera. Scritta per la mia città la ritengo valida anche per il nostro Paese.

Caro Direttore,
è vero. Bergamo ultimamente sembra sfuggire da quell’atavica riservatezza che da sempre l’ha contraddistinta.
Al centro di molti accadimenti che hanno ingenerato un’immagine forse sfalsata della nostra terra.
Un’immagine che fa ritenere che Bergamo non sia più la terra dei nostri padri.
Ma Bergamo è veramente cambiata?
Se dovessi rapportarmi con i ricordi della mia infanzia forse sì.
In quell’anonima solidarietà di pranzi e cene passati con persone sconosciute (poveri trovati per le strade) che mia madre portava a casa per dare loro un pasto caldo (pur avendo noi pochissimo).
E forse nella voce di mio padre che, giovane imprenditore, raccomandava “prima si pagano i fornitori e poi, se avanza qualcosa, compriamo qualcosa da mangiare”.
E forse in ricordi di amministratori pubblici che preferivano i fatti alle parole urlate come il compianto sindaco Tino Simoncini che molto ha dato a questa città compreso il monumento agli alpini sotto il quale sto scrivendo questa lettera.
E’ così? Forse.
Ma ho come l’impressione che tutto sia riconducibile a quello che diceva il filosofo “fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”.
Infatti, se guardassimo bene con attenzione, ci accorgeremmo che esistono ancora molti tesori nascosti nei cuori, nelle menti e nel passo frettoloso della nostra gente.
Tesori rappresentati da una maggioranza silenziosa che ha ancora in valori come la famiglia, il matrimonio, il lavoro, la forza e la capacità di superare gli ostacoli.
Una maggioranza silenziosa che lavora nel volontariato, nelle associazioni, primi e sempre pronti ad accorrere in zone in difficoltà.
Una maggioranza silenziosa che non incita all’evasione fiscale perché i padri hanno insegnato loro che se desideri qualcosa, se utilizzi qualcosa, se vuoi un futuro migliore per i tuoi figli devi dare qualcosa in cambio.
Una maggioranza silenziosa fatta di pensionati, lavoratori, imprenditori onesti che non si lamentano continuamente delle difficoltà, perché loro nelle difficoltà ci sono sempre stati.
No Direttore, Bergamo in fondo è cambiata poco.
Ci sono i soliti alberi che cadono nel frastuono e una foresta che cresce.
Una maggioranza silenziosa che sarà pure silenziosa, ma ricordiamocelo, maggioranza resta.
E come recitava Calvino nelle sue Città invisibili :”Bisogna cercare tra noi viventi chi e cosa inferno non è, e farlo durare e dargli spazio”.

Un caro saluto

Johannes Bückler

Corriere della Sera - Bergamo - Leggi qui >>>>> e qui >>>>>

mercoledì 8 febbraio 2012

Today I'd say "no representation without taxation!

Buongiorno Johannes,
ho scelto il "nome d'arte", attingendo dai padri della rivoluzione americana, perché affascinato dal motto che ne costituisce il simbolo ("no taxation without representation").
Inoltre, devo confessare, nel portare avanti le mie idee sono incline ad usare il paradosso e, pertanto, niente di più spontaneo che ribaltare detto motto: "no representation without taxation".
Mi piace infatti immaginare che nella mia società ideale tutti i cittadini sentano come primario il "dovere fiscale" e che, i pochi refrattari, vengano esclusi da quello che ritengo il maggior "attestato di appartenenza" a una collettività: il diritto di voto, cioè la possibilità di contribuire alla fase decisionale della collettività stessa.
Diritto che, eticamente, non può competere a che si autoesclude illegittimamente dalla contribuzione materiale.
Auspico che dal piano dell'impedimento etico si passi all'impedimento giuridico.
In questi giorni sto leggendo un libro molto interessante: "For Good and Evil-L'influsso della tassazione sulla storia dell'umanità" di Charles Adams, ultraottantenne avvocato tributarista americano, docente e storico.
C'e' un passaggio (riguardante il periodo in cui ha operato il mio Samuel) che, molto più autorevolmente di me, esprime il concetto base: " nel 1787 potevano votare solo i cittadini che pagavano le tasse....la principale funzione economica di un corpo legislativo e' di tassare e di raccogliere denaro affinché il ramo esecutivo del governo possa spenderlo.
Ne deriva che chi non e' un contribuente non dovrebbe aver voce in capitolo su come viene speso il denaro del governo.
Viceversa, se un contribuente non e' anche un votante il processo del consenso viene delegittimato.
I votanti, quindi, devono essere contribuenti".
Basta aggiungere "onesti" a "contribuenti" e il punto di vista del Samuel Adams che ti scrive risulta comprensibile nonché, a mio modesto avviso, ineccepibile.
Trovo ulteriore conforto e un' illuminata chiave di lettura del "concetto base" in cui credo nel recente intervento di Enzo Bianchi su La Stampa del 15 gennaio 2012 dal titolo "L'etica delle tasse".
Va letto, riletto e poi imparato a memoria. Mi permetto di riprenderne alcuni passaggi.
"Quando, pochi anni fa, uno dei piu' seri, lucidi e preparati ministri dell'economia che il nostro paese abbia mai avuto definì 'bellissimo' il fatto di pagare le tasse, venne deriso: ormai smarrita ogni etica civile collettiva, chi aveva osato ricordare la bontà di un gesto solidale come pagare le imposte finalizzate al bene comune non poteva che essere messo alla berlina.
Ma il problema oggi come allora e' proprio qui, nella mancanza di coscienza collettiva: non si può chiedere un gesto di condivisione a chi non sa piu' di essere parte di un organismo vivente....
Questo smarrimento del senso di appartenenza - il Comune non e' piu' "comune" a nessuno, lo Stato non siamo noi, l'Europa e' un mondo estraneo, l'umanità e' un'entità vaga cui non appartengo - porta a una regressione verso la tribù, il clan, il legame di sangue...dove l'essere insieme e' conseguenza di un dato biologico o di un condizionamento sociale e non di una libera scelta di persone libere che condividono fatiche e speranze, ideali e difficoltà, cultura e visioni del mondo, senso di giustizia e dell'equità, panorami e patrimoni artistici...
Le tasse sono un antidoto a questa deriva, sono la possibilità che mi e' offerta di donare puntualmente ed equamente qualcosa della mia ricchezza perché possa crescere il bene comune, attraverso servizi, infrastrutture, strumenti educativi, opportunità sanitarie, condivisione allargata ad altri paesi e popoli."
Riprendo la parola e, con linguaggio piu' "volgare" ribadisco che gli evasori fiscali non dovrebbero poter partecipare alla fase decisionale della società.
Solo chi contribuisce a pagare il "costo del carburante" (ovviamente secondo la propria capacita' contributiva, altrimenti sarebbero titolati solo i ricchi) può influenzare la decisione di dove deve andare "il veicolo" che ci trasporta tutti. Il concetto dovrebbe essere accolto e tradotto in norma dal legislatore ma, ovviamente, con un minimo di raziocino, prevedendo una gradualità di conseguenze rapportate all'entita' del "peccato".
La patente la si ritira a chi supera di 40 km orari il limite, non a chi si macchia di procedere a 60 su una strada scorrevole di periferia che porta il limite di 50.
Auspico che i Bückler si facciano stimolare da questa idea.

Un caldo saluto a tutti.

Samuel Adams

mercoledì 1 febbraio 2012

Evasione fiscale e difficoltà di accesso al credito.



Caro Johannes, poiché sembra che il problema (sacrosanto, ci mancherebbe) del credito sia al momento il più gettonato tra i frequentatori del blog, provo ad inserirmi con una breve annotazione.
La scorsa settimana nella mia città si e' svolto un consiglio comunale allargato a tutte le forze economiche del territorio per discutere della crisi.
Segnalo che, all'interno del panorama generale del Paese, caratterizzato dall'evasione che sappiamo, qui da noi determinate categorie economiche tendono a raggiungere livelli d'eccellenza, ovviamente in negativo.
Ad ogni buon conto, il tema della serata era concentrato, soprattutto, sul richiamo a maggior efficienza, disponibilità e professionalità del sistema creditizio.
L'accorato appello dei rappresentanti di questi piccoli imprenditori e' stato immediatamente riscontrato da un alto dirigente di un importante istituto di credito che, dopo aver fatto una puntuale analisi del momento contingente, se ne uscito con alcune considerazioni che hanno spiazzato l'agguerrito uditorio.
Le sintetizzo: i soldi ci sono, purtroppo non possono essere indirizzati verso imprese estremamente sotto capitalizzate e decisamente povere, caratterizzate da risultati economici costantemente miseri; situazione strana, peraltro, perché, dai dati in possesso delle banche, alle imprese povere corrispondono imprenditori decisamente ricchi.
Evidentemente il tema dell'evasione fiscale ritorna in prima linea, indipendentemente dalle mie "ossessioni".
Nota positiva del giorno dopo: il Presidente della Provincia ha rilasciato un' intervista ai giornali locali affermando che questa situazione, indicativa di fenomeni di "evasione totale" (parole sue) non devono essere più tollerate e vanno additate come causa primaria anche dei problemi della comunità dal lui governata.
Speriamo bene.

Un saluto a tutti.

Samuel Adams