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mercoledì 8 febbraio 2012

Today I'd say "no representation without taxation!

Buongiorno Johannes,
ho scelto il "nome d'arte", attingendo dai padri della rivoluzione americana, perché affascinato dal motto che ne costituisce il simbolo ("no taxation without representation").
Inoltre, devo confessare, nel portare avanti le mie idee sono incline ad usare il paradosso e, pertanto, niente di più spontaneo che ribaltare detto motto: "no representation without taxation".
Mi piace infatti immaginare che nella mia società ideale tutti i cittadini sentano come primario il "dovere fiscale" e che, i pochi refrattari, vengano esclusi da quello che ritengo il maggior "attestato di appartenenza" a una collettività: il diritto di voto, cioè la possibilità di contribuire alla fase decisionale della collettività stessa.
Diritto che, eticamente, non può competere a che si autoesclude illegittimamente dalla contribuzione materiale.
Auspico che dal piano dell'impedimento etico si passi all'impedimento giuridico.
In questi giorni sto leggendo un libro molto interessante: "For Good and Evil-L'influsso della tassazione sulla storia dell'umanità" di Charles Adams, ultraottantenne avvocato tributarista americano, docente e storico.
C'e' un passaggio (riguardante il periodo in cui ha operato il mio Samuel) che, molto più autorevolmente di me, esprime il concetto base: " nel 1787 potevano votare solo i cittadini che pagavano le tasse....la principale funzione economica di un corpo legislativo e' di tassare e di raccogliere denaro affinché il ramo esecutivo del governo possa spenderlo.
Ne deriva che chi non e' un contribuente non dovrebbe aver voce in capitolo su come viene speso il denaro del governo.
Viceversa, se un contribuente non e' anche un votante il processo del consenso viene delegittimato.
I votanti, quindi, devono essere contribuenti".
Basta aggiungere "onesti" a "contribuenti" e il punto di vista del Samuel Adams che ti scrive risulta comprensibile nonché, a mio modesto avviso, ineccepibile.
Trovo ulteriore conforto e un' illuminata chiave di lettura del "concetto base" in cui credo nel recente intervento di Enzo Bianchi su La Stampa del 15 gennaio 2012 dal titolo "L'etica delle tasse".
Va letto, riletto e poi imparato a memoria. Mi permetto di riprenderne alcuni passaggi.
"Quando, pochi anni fa, uno dei piu' seri, lucidi e preparati ministri dell'economia che il nostro paese abbia mai avuto definì 'bellissimo' il fatto di pagare le tasse, venne deriso: ormai smarrita ogni etica civile collettiva, chi aveva osato ricordare la bontà di un gesto solidale come pagare le imposte finalizzate al bene comune non poteva che essere messo alla berlina.
Ma il problema oggi come allora e' proprio qui, nella mancanza di coscienza collettiva: non si può chiedere un gesto di condivisione a chi non sa piu' di essere parte di un organismo vivente....
Questo smarrimento del senso di appartenenza - il Comune non e' piu' "comune" a nessuno, lo Stato non siamo noi, l'Europa e' un mondo estraneo, l'umanità e' un'entità vaga cui non appartengo - porta a una regressione verso la tribù, il clan, il legame di sangue...dove l'essere insieme e' conseguenza di un dato biologico o di un condizionamento sociale e non di una libera scelta di persone libere che condividono fatiche e speranze, ideali e difficoltà, cultura e visioni del mondo, senso di giustizia e dell'equità, panorami e patrimoni artistici...
Le tasse sono un antidoto a questa deriva, sono la possibilità che mi e' offerta di donare puntualmente ed equamente qualcosa della mia ricchezza perché possa crescere il bene comune, attraverso servizi, infrastrutture, strumenti educativi, opportunità sanitarie, condivisione allargata ad altri paesi e popoli."
Riprendo la parola e, con linguaggio piu' "volgare" ribadisco che gli evasori fiscali non dovrebbero poter partecipare alla fase decisionale della società.
Solo chi contribuisce a pagare il "costo del carburante" (ovviamente secondo la propria capacita' contributiva, altrimenti sarebbero titolati solo i ricchi) può influenzare la decisione di dove deve andare "il veicolo" che ci trasporta tutti. Il concetto dovrebbe essere accolto e tradotto in norma dal legislatore ma, ovviamente, con un minimo di raziocino, prevedendo una gradualità di conseguenze rapportate all'entita' del "peccato".
La patente la si ritira a chi supera di 40 km orari il limite, non a chi si macchia di procedere a 60 su una strada scorrevole di periferia che porta il limite di 50.
Auspico che i Bückler si facciano stimolare da questa idea.

Un caldo saluto a tutti.

Samuel Adams

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