Disclaimer

Al fine di mantenere il blog nell'ambito di un confronto civile e costruttivo, tutti i commenti agli articoli espressi dai lettori verranno preventivamente valutati ed eventualmente moderati. La Redazione.

venerdì 27 ottobre 2017

Diga del Gleno: una tragedia senza pace.


Che il nostro sia un Paese incline al complottismo e alla dietrologia ormai è cosa acclarata. Dalle scie chimiche, vera e propria operazione di aerosol chimico/batteriologico, ai vaccini che provocano malattie gravissime (lo so, questa non fa ridere), congiure e complotti sono ormai all’ordine del giorno.
Schiere di sospettosi e di “uomini saggi che non se la bevono” di prezzoliniana memoria, pensano che l’intera storia del genere umano sia spiegabile sotto forma di cospirazioni, di grandi vecchi manovratori e trame oscure di cui solo loro sono a conoscenza.

In questo filone si colloca il libro “La tragedia della diga del Gleno. Dicembre 1923. Indagine su un disastro dimenticato” dell’avvocato Benedetto Maria Bonomo. Che qualcuno abbia voluto scrivere qualcosa sulla tragedia quasi un secolo dopo si può pure comprendere. E’ sempre bene ricordare ai giovani tutto ciò che ha toccato la nostra terra. Che lo si faccia proponendo tesi complottistiche sulla pelle di chi oggi non può difendersi, no, quello non si può sentire (né tantomeno leggere).

La tesi esposta nel libro non lascia adito a dubbi secondo l’autore. La diga non è crollata perché la struttura non rispondeva ai requisiti necessari a garantirne la sicurezza. Archi appoggiati malamente sulla precedente struttura? Murata costellata di crepe? Controlli e manutenzioni mai eseguite? La scarsa qualità dei materiali e la cattiva lavorazione degli stessi? Ma quando mai. Solo il frutto di testimonianze della gente scalvina arrabbiata, rabbiosa e invidiosa, che aveva “sviluppato una vera e propria fobia” a forza di sentire dalle maestranze che la diga non era sicura.

Prendiamo la macchina del tempo e torniamo a quel giorno di agosto del 1921: “Ma il progetto parla una diga a gravità, non ad archi multipli.
Questa che roba è?” disse l’ing. Lombardo del genio civile mentre constatava che la tipologia della diga non è quella a disegno. “Che volete che sia, modificheremo il progetto e nel frattempo andiamo avanti con la costruzione”. In fondo “così fan tutti”. Già. Peccato che undici arcate sono appoggiate direttamente sul tampone a gravità, quello costruito inizialmente, creando una discontinuità strutturale.

Il motivo del passaggio fu esclusivamente di natura economica. Una diga a gravità costa molto di più di una diga ad archi multipli perché necessita di molto materiale in più.

E allora perché è caduta la diga per il Bonomo? Semplice. Per colpa di una bella bomba fatta esplodere per protestare contro i metodi padronali del costruttore Viganò. Messa da chi? Non si sa. Dagli anarchici, da un residente esasperato, o forse dall’unico testimone che si trovava sulla diga, il guardiano Francesco Morzenti, definito dal Bonomo “uomo profondamente ignorante”.

Non così ignorante, dico io, visto che gli era stata affidata la guardia di una diga di quelle dimensioni.

“petasàlti” era il nomignolo dato al guardiano Francesco Morzenti, eroe della I guerra mondiale insignito della medaglia d’argento al valor civile. Il Bonomo, per screditare l’unico testimone della tragedia, lo traduce (senza esserne certo) come “uno che scambia spesso opinione”. Secondo il Bonomo è molto più credibile tale Battista Betti, che il Morzenti. Peccato che il Betti sia un delinquente, ascoltato nelle carceri di Cremona. La sua deposizione in merito a delle confidenze ricevute in cella su un attentato alla diga non fu ritenuta plausibile al processo. C’è da dire che la difesa del costruttore Viganò tentò di addossare la responsabilità anche ad un terremoto. Pista assurda.

E se era un attentato fatto da anarchici, perché il Fascismo non lo usò come arma di propaganda? I fascisti avrebbero avuto tutto l’interesse ad enfatizzare un simile attentato, altro che nasconderlo per evitare di fare pubblicità ai suoi nemici. Basta leggere i giornali dell’epoca. Ogni occasione era buona per arrestare, pubblicizzare e organizzare rappresaglie e spedizioni punitive contro anarchici.

Insomma, colpe del costruttore? Nessuna. Un costruttore, giusto ricordare, che era solito dichiarare che per lui era perfettamente inutile l’aiuto degli ingegneri. Anzi. “Se un ingegnere spende 10 milioni per fare una diga è considerato un grande uomo; eseguendo io il lavoro con metà spesa ho reso un servigio al Paese”. Scienza? Tecnica? Per il Viganò solo stupidaggini, quisquiglie.

Il libro inizia con: “Che cosa sia veramente successo il 1° dicembre 1923 alle prime luci dell’alba a Pian del Gleno in Vilminore di Scalve probabilmente mai nessuno lo saprà con certezza”. Ecco. Non sapendo e non volendo accettare una verità storica, forse era il caso di fermarsi lì, senza andare oltre. Nel rispetto dei morti, e delle genti scalvine cresciute nel dolore e nel ricordo di quel tragico giorno.

Johannes Bückler

02 dicembre 1923 - La Stampa - Leggi la prima pagina >>>>>
03 dicembre 1923 - La Stampa - Leggi la prima pagina >>>>>
04 dicembre 1923 - La Stampa - Leggi la prima pagina >>>>>
05 dicembre 1923 - La Stampa - Leggi la prima pagina >>>>>
06 dicembre 1923 - La Stampa - Leggi la prima pagina >>>>>

In volo sulla diga del Gleno. Un video realizzato da Guido Marelli >>>>>