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venerdì 11 novembre 2016

La scelta


Strana la vita. Ad Amburgo avevo una bottega di barbiere e ora, senza nemmeno sapere esattamente il perché, mi ritrovo in Polonia.

Faccio parte della prima compagnia del battaglione cui è stato assegnato il compito di pacificare una zona appena conquistata. Almeno credo. Con me ci sono operai, commercianti, artigiani, rappresentanti, imprenditori, impiegati, in tutto il battaglione comprende circa cinquecento uomini. Uomini comuni.
Tra noi, almeno prima del 1933, molti socialisti, alcuni persino iscritti al sindacato. La maggior parte troppo vecchi per essere arruolati nell'esercito, molti alle prime armi, senza nessuna esperienza.

13 luglio 1942. Bilgoraj (Polonia) 

E’ ancora buio. Siamo stati svegliati di soprassalto e scaraventati giù dalle nostre cuccette in un vecchio edificio scolastico adibito da tempo a caserma. Fa piuttosto freddo per la stagione e ci arrampichiamo con fatica sui camion in partenza. Ci hanno consegnato molte munizioni, ma nessuno conosce la destinazione, tanto meno i particolari della missione. Usciti dalla città ci dirigiamo ad est su strade sassose e dal fondo sconnesso, impiegando circa due ore per fare i trenta chilometri che separano la città di Bilgoraj dal villaggio di Józefów.

Quando arriviamo il villaggio è ancora immerso nell’oscurità. Saltiamo giù dai camion e ci disponiamo in semicerchio attorno a “papà Trapp”. Papà Trapp è il nomignolo con cui chiamiamo il nostro maggiore, Wilhelm Trapp, veterano della prima guerra mondiale. Trapp ha il viso tirato e lucido mentre ci spiega i termini della missione.
E’ pallido, rattristato e una volta terminato di parlare pone a tutti noi una domanda: “se qualcuno fra di voi non si sente all’altezza del compito affidatogli può fare un passo avanti".
Ci viene data la possibilità di scegliere.

Il primo ad uscire dai ranghi è Otto-Julius Schimke. Dopo di lui altri undici uomini fanno un passo avanti. Consegnano i fucili e rimangono in attesa di ricevere altri incarichi.

La sera prima Trapp si era incontrato con i comandanti della prima e della Seconda Compagnia il capitano Wohlauf e il tenente Gnade informandoli dell’operazione. Fu informato anche il tenente Heinz Buchmann che ad Amburgo faceva l’imprenditore di legname. Saputi i particolari dell’azione aveva comunicato ai suoi superiori che lui era un imprenditore e certe cose non era disposto a farle. Gli venne affidato un altro incarico.

Gli ordini sono precisi. Circondare il villaggio, rastrellare uomini in grado di lavorare da destinare a Treblinka. Radunare poi tutti gli altri, vecchi, donne e bambini nella piazza del mercato, ma non i deboli e i malati impossibili da trasportare, quelli dobbiamo fucilarli sul posto. Tutti gli altri vanno fucilati nel bosco.

E’ il medico a istruirci su come uccidere con un colpo solo quella gente provocandone la morte immediata. Per fare questo disegna in terra il contorno di una persona e ci indica il punto in cui dobbiamo appoggiare la baionetta prima di sparare.

Ci dividono in tanti plotoni di esecuzione e cominciamo. Il primo carico di circa quaranta persone arriva su un camion. A ogni persona viene abbinato uno di noi, faccia a faccia con la vittima. Diciamo a quelle persone di sdraiarsi per terra, in fila. Poi avanziamo sopra di loro, piazziamo le baionette sulla spina dorsale al di sopra delle scapole secondo le istruzioni ricevute. E spariamo.
O meglio, io non riesco a farlo, non ce la faccio.

Io, Hans Dettelmann, barbiere di quarant’anni, non riesco neppure a sparare il primo colpo e chiedo immediatamente di essere esonerato. Mi viene affidato un altro incarico.

Solo dodici persone avevano fatto un passo avanti chiedendo di essere esonerate dopo aver saputo dell’operazione, ma durante la giornata molti si tirarono indietro.

Ricordo che Walter Niehaus, ex rappresentante delle sigarette Reemtsma, fucilò per prima una donna anziana. Dopo che l’ebbe uccisa, andò da Bentheim, il suo sergente, e gli disse che non poteva fare altre esecuzioni. Non fu costretto a continuare.

Georg Kageler, un sarto, cominciò ad avere problemi molto presto. Dopo la prima fucilazione gli toccò uccidere una donna e la sua bambina. Parlando con loro aveva scoperto che erano tedesche di Kassel. Si rifiutò di proseguire le fucilazioni.

Il sergente Bentheim, che si trovava nel punto in cui i camion scaricavano quelle persone, vedeva emergere dal bosco uomini coperti di sangue e pezzi di cervello, con il morale a terra e i nervi a pezzi. Consigliava a coloro che gli chiedevano di essere sostituiti di svignarsela e raggiungere la piazza del mercato.
Alcuni, per non dimostrare la propria codardia, trovavano altri modi per non espletare l’incarico. Per esempio mancando volontariamente la vittima. Per questo alcuni sottufficiali si fornirono di fucili mitragliatori per dare ai feriti il colpo di grazia. Le squadre si alternarono per tutta la giornata, una quarantina di persone alla volta. Nella pausa di mezzogiorno venne distribuito alcool in abbondanza ai plotoni di esecuzione. Ne avevano bisogno.

 All’imbrunire di quel lungo giorno d’estate le esecuzioni divennero ancora più disorganizzate e febbrili, per la fretta di portare a termine il massacro. Il bosco era pieno di cadaveri, tanto che era difficile ogni volta trovare posto per far sdraiare le vittime. L’oscurità scese verso le nove di sera; gli uomini del bosco, dopo aver ucciso le ultime persone, tornarono sulla piazza del mercato e si prepararono a partire per Bilgoraj. Non erano stati fatti piani per il seppellimento dei cadaveri.
I corpi dei 1500 ebrei che avevamo massacrato furono lasciati nel bosco.

Il mio Battaglione continuò i massacri nei mesi successivi.
Ad agosto 1500 ebrei furono uccisi a Lomazy e 960 a Mjedzyrzec.
A settembre massacrammo 200 ebrei a Serokomla e 200 a Kock
Ad ottobre 100 a Parczew, 1.100 a Konskowola e altri 150 a Mjedzyrzec.
A novembre 290 a Lukow, 16.500 a Majdanek, 14.000 a Poniatowa e 1.300 nel distretto di Lublino.

Fra il 13 luglio 1942 (il primo massacro) e il 5 novembre 1943, il mio battaglione rastrellò e uccise uno ad uno 38.000 ebrei, quasi tutti donne vecchi e bambini. Partecipò inoltre al rastrellamento e alla deportazione a Treblinka di altri 45.000 ebrei idonei al lavoro.

Marzo 1942 
Nel marzo 1942 l'80% delle future vittime dell'Olocausto era ancora in vita. Il 20% era già stato ucciso. Un anno dopo, nel febbraio del 1943, il dato era esattamente capovolto. Che accadde in quei pochi mesi? Com'è stato possibile organizzare in così poco tempo una vera guerra lampo con la mobilitazione di migliaia di uomini che dovevano ripulire interi paesi dove gli ebrei raggiungevano a volte l'80% della popolazione? Oggi sappiamo come fu possibile. 

Nella sede della Zentrale Stelle der Landesjustizverwaltungen, l'ufficio della Repubblica Federale Tedesca per il coordinamento delle indagini sui crimini tedeschi, (costituita nel 1958), esiste un archivio. All’interno si possono trovare tutte le deposizioni, accuse e le relative sentenze, dei processi per crimini nazisti commessi dai tedeschi contro gli ebrei in Polonia. Quei 500 uomini comuni, che massacrarono 1500 ebrei nel villaggio di Józefów, facevano parte del Battaglione 101.

Durante gli interrogatori quegli uomini elaborarono molte giustificazioni al loro comportamento.
La maggior parte si rifugiò nella facile scusa secondo cui: “non partecipare alle fucilazioni non avrebbe in nessun caso cambiato il destino degli ebrei”. 

Ma la più sorprendente fu quella fornita da un operaio metallurgico di Bremerhaven: “Tentai di uccidere solo bambini, e ci riuscii. Siccome le madri tenevano i bambini per mano, il mio vicino uccideva la madre e io il figlio, perché ragionavo tra me che dopotutto, senza la madre, il figlio non avrebbe più potuto vivere. Il fatto di liberare i bambini che non potevano più vivere senza le madri mi pareva, per così dire, consolante per la mia coscienza”. 

“Non è affatto vero che coloro che non volevano o non potevano uccidere altri esseri umani con le proprie mani non potevano evitarlo. Non c’era alcun controllo serio. Io per esempio rimasi sempre vicino ai camion che arrivavano. Era inevitabile che questo o quel compagno notasse che non partecipavo alle esecuzioni e non sparavo alle vittime. Per esprimere il loro disgusto mi coprirono di insulti come «faccia di merda» e «smidollato». Ma non subii alcuna conseguenza per le mie azioni. Devo aggiungere che non fui l’unico che si sottrasse alle esecuzioni”. 

Quasi tutti i membri del Battaglione 101 sopravvissero alla fine della guerra e tornarono in Germania. Dopo la guerra, solo quattro membri subirono conseguenze delle loro azioni in Polonia. Nel 1962 il Battaglione 101 fu posto per intero sotto investigazione dalla Procura di Amburgo. Nel 1967, quattordici membri furono messi sotto processo e anche se la maggior parte fu condannata, solo cinque andarono in prigione, scontando una pena dai cinque agli otto anni, ridotti poi nel corso di un lungo processo di appello.

P.S. Ho volutamente omesso le parti più raccapriccianti delle deposizioni.

Erano semplici operai, commercianti, artigiani, impiegati, imprenditori, uomini comuni. Fu data loro la possibilità di scegliere. Preferirono trasformarsi in mostri. 

Nelle elezioni del 1933, milioni di tedeschi diedero piena fiducia a Hitler.
Nel novembre dello stesso anno, 40 milioni di tedeschi votarono a favore della politica estera e del nuovo Reichstag sulla lista unica presentata dal Governo. .
Alla fine della guerra erano iscritti al Partito Nazista 8,5 milioni di tedeschi.