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mercoledì 29 novembre 2017

Diga del Gleno. Non stravolgere la verità storica.


I ruderi sono ancora là, da quel maledetto 1 dicembre 1923, a oltre 1500 metri in alta Val di Scalve. Aveva piovuto a dirotto nei giorni precedenti. Non quella mattina, anche se il tempo era comunque uggioso.

Alle 7.15 la diga del Gleno si squarciò per una settantina di metri e milioni di metri cubi di acqua si riversarono a valle distruggendo tutto al loro passaggio e provocando almeno 500 morti (356 quelli accertati). Un invaso di 400 mila metri quadrati con 6 milioni di metri cubi d’acqua costruito, seppur con le conoscenze del tempo, in modo approssimativo.

Prima un progetto iniziale di una diga a gravità, poi sostituito in corso d'opera (senza nessuna autorizzazione) da una struttura ad archi multipli meno costosa. Peccato che undici arcate fossero state appoggiate direttamente sul tampone a gravità, quello costruito inizialmente, creando una discontinuità strutturale.

Perché quella diga si squarciò è ormai una verità storica, malgrado qualcuno tenti ancor oggi di dimostrare che la diga avesse i requisiti necessari a garantirne la sicurezza. Centinaia di pagine di verbali di interrogatori di ex dipendenti delle ditte che avevano lavorato alla costruzione della diga concordarono nel descrivere la scarsa qualità dei materiali e la cattiva lavorazione degli stessi.
Inoltre sbagli di progettazione portarono alla costruzione di un’opera ad alto rischio di crollo. A quel tempo tutti sapevano della pericolosità di quella diga e il ricordo indelebile è nel racconto di un sopravvissuto: ” Pioveva da alcuni giorni a dirotto e noi, che sapevamo com'era stata costruita, guardavamo preoccupati verso la diga e dicevamo OL SARA' SA 'L GLEN.....OL SARA' SA 'L GLEN..... (Arriverà il Gleno…..Arriverà il Gleno).

Il testimone chiave del processo che ne seguì fu Francesco Morzenti, detto il “Petôsalti” (dal dizionario SCALVI' "Persona velocissima nella fuga.") il guardiano della diga, unico testimone della tragedia. Perchè lo chiamassero Petôsalti lo raccontava lui stesso: diceva che mentre stava transitando sulla strada della Valbona, una vecchia strada comunale ora abbastanza in disuso che collega Teveno a S. Andrea, con una bricolla di sigarette di contrabbando in spalla, per colpa di una spia venne inseguito dalla guardia di finanza. Riuscì a fuggire facendo grandi salti, da lì il nome Petôsalti.

Distintosi nella Prima Guerra mondiale, nominato in seguito Cavaliere di Vittorio Veneto, aveva segnalato prima del disastro le continue perdite nello sbarramento (e se ascoltato forse si sarebbe potuto evitare la tragedia).
La mattina dell'1 dicembre si salvò per miracolo riuscendo a aggirare il crollo. Chi lo ha conosciuto lo ricorda al cimitero durante i funerali dei suoi compaesani concludere lui stesso gli elogi funebri sempre con la solita frase: "Non eri degno di stare su questa terra, eri maturo per il cielo."

Anche se sono trascorsi così tanti anni è importante, per noi bergamaschi, non dimenticare quella tragedia. Doveroso soprattutto conservare e non stravolgere la verità storica sulle responsabilità che hanno portato al crollo.
Lo dobbiamo al Petôsalti, ai morti e alle genti scalvine cresciute nel dolore e nel ricordo di quel tragico giorno.

Johannes Bückler

29 Novembre 2017 - Corriere della Sera - Bergamo - Leggi qui >>>>>

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