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sabato 18 agosto 2018

C'è un tempo per tutto.


Quando, tanti anni fa, questa terra mi accolse mi ritrovai in un mondo diverso da quello che conoscevo. Genova, un nastro d’argento srotolato fra monti e mare. Un mare povero, una terra aspra. Tanto aspra che le “fasce” strappate ai monti sassosi sembravano arrivare al cielo e le pianure erano solo un sogno distante.

Terrazzamenti larghi qualche metro su cui piantare e coltivare con una pazienza lunga quanto le fila di sassi che trattengono le fasce. Un mare povero di pesce, con le acciughe d’argento, moscardini e calamari ma che “per pescar dell’altro devi andare molto, molto a largo”, perché neppure i fiumi hanno benedetto questa terra con il loro continuo apporto di sostanze nutritive, ma solo i torrenti sempre in secca o che si trasformano in mostri d’acqua.

E i Genovesi, famosi per la loro avarizia, che poi quando capisci veramente la vedi per ciò che è: forzata parsimonia atavica di chi è abituato a dar valore ad ogni piccola cosa. Valore ad ogni cosa. E, se una cosa ha valore in questa terra dura, è la dignità e l’orgoglio. Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C'è un tempo per nascere e un tempo per morire Ed a Genova, in un giorno d’Agosto, è arrivato in un attimo il tempo di morire.

Un ponte crolla e tu ci sei passato 1 minuto prima, oppure hai accelerato 1 minuto prima e hai visto sotto di te solo il vuoto. E, in un attimo tutto cambia. Le vite spezzate, i bambini che mai cresceranno, i fidanzati che mai si sposeranno, gli uomini e le donne che mai arriveranno a casa. E, in un attimo, tutto cambia. Il dolore di tante famiglie, lo shock di un evento incredibile e una città non solo sconvolta e disperata, ma spezzata in due. Quel nastro d’argento tagliato, e, all’improvviso, tutto posto ad una distanza più grande da tutto. C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare.

E troppi hanno detto troppo e lascio a loro l’onere di continuare, perché i tempi son stati sbagliati, perché nulla è stato rispettato. E’ questo che voglio ricordare: che era corretto, necessario e dovuto un comportamento diverso, azioni diverse, dichiarazioni diverse. Almeno dopo il fatto.  Che il silenzio, lo smarrimento, il dolore erano e sono atti dovuti e doverosi. Che tutto si è trasformato, forse in un tempo minore di quello che ha impiegato il ponte a crollare, in un grande carnevale mediatico in cui il rumore di fondo (e non quello della tragedia) aumentava esponenzialmente, come a cercare di zittire i fatti, cancellare le immagini, trasformare la realtà. Spostando in là il tempo in un domani in cui il lutto ed il silenzio e il dolore fossero già digeriti. Un tempo sbagliato.

C’è un tempo per piangere e un tempo per ridere E’ questo che voglio ricordare: che la dignità e l’orgoglio di cui questa Città è piena e che le PERSONE, che un istante di tempo ha inghiottite, esigevano come diritto inalienabile di riceverne altrettanto e che tutti avevano il dovere di dimostrare a loro altrettanta dignità ed orgoglio. Nessuno si illude che, oggi, si possa evitare che le tragedie vengano strumentalizzate. Ma c’è un tempo per tutto. E questo tempo ai morti, a Genova ed all’Italia non è stato concesso. Ogni evento è stato proiettato in una bolla atemporale in cui le persone, i fatti, le lacrime ed il dolore hanno perso il loro senso ed il tempo di una giusta riflessione.

Una volontà forte di piegare il tessuto del tempo e dello spazio per portarlo, con dichiarazioni e proclami, ad un timing orrendamente sbagliato ma che tuttavia ha permesso di annullare la giusta, corretta e umana risposta emotiva degli Italiani al fine di trasformare immediatamente una tragedia in capitale politico da spendere velocemente ed al massimo. C’è un tempo per amare e un tempo per odiare E’ questo che voglio ricordare: che era solo il tempo di piangere, che era solo il tempo di amare. Che, seppur sembri che vince chi grida più forte, c’è il tempo del silenzio e del rispetto. Che l’Italia tutta doveva ai morti ed a Genova questo, almeno per qualche giorno.

Che tutta la classe politica, di ogni colore e schieramento lo doveva. Il tempo del lutto, il tempo del rispetto, il tempo del calore umano. Ci sarebbe comunque stato tempo, poi, anche per l’odio. Sarebbe arrivato, certo, ma non ora. Ed alla fine di tutto doveva (e dovrebbe esserci sempre) il tempo del pensiero e della riflessione. Guardiamoci come siamo e ciò che abbiamo fatto. Pensiamo a come abbiamo reagito e di cosa ci siamo preoccupati. Riflettiamo se questo è normale o se tutti noi siamo cambiati. Da dove proviene questo vuoto che ci portiamo dentro che deve essere immediatamente riempito da delle voci? E dove ci porterà se non lo riconosciamo?

Da dove nasce questa ansia di ricevere spiegazioni prefabbricate e provvedimenti istantanei, senza il tempo dovuto alla necessaria analisi rigorosa dei fatti? E dove ci porterà se non la riconosciamo? Da dove origina questa necessità di cancellare i tempi, persino quelli del rispetto che impone che le vittime di una tragedia non siano usate come mezzi propagandistici di una strumentalizzazione che non trova alcun rimprovero, ma siano persone da piangere e rispettare?

E dove ci porterà se non la riconosciamo? Scende un'altra sera ed ancora si vedono le luci cercano chi manca all'appello. La "maccaja" da 3 giorni Genova ce l'ha nel cuore. Incassiamo le spalle e "mugugnamo" che era corretto, necessario e dovuto un comportamento diverso, azioni diverse, dichiarazioni diverse. Almeno dopo il fatto.

C’è un tempo per tutto e il tempo giusto per questi morti e per Genova non è stato né trovato né donato.

Stefania Conti   @stefaniaconti su Twitter

La foto di Genova in bianco e nero è di Alberto Bruschi

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