Disclaimer

Al fine di mantenere il blog nell'ambito di un confronto civile e costruttivo, tutti i commenti agli articoli espressi dai lettori verranno preventivamente valutati ed eventualmente moderati. La Redazione.

venerdì 30 settembre 2011

Una domanda al ministro Matteoli

Invitato a un convegno di imprenditori a formulare una domanda al ministro Matteoli ho fatto la seguente richiesta: Gli imprenditori oggi cioe' liberi professionisti,titolari di imprese artigiane,commerciali e industriali si trovano di fronte a un mercato che non prevede nessuna tutela e garanzia di riscossione certa dei crediti per la loro azienda. Una giustizia civile inesistente e che non da' alcuna certezza di soddisfazione anche in caso di esito positivo del processo,costi assurdi anticipati della macchina della giustizia che aggrava i danni invece di eliminarli,depenalizzazione di reati come assegni a vuoto,cambiali a vuoto,finti fallimenti,truffe organizzate sfruttando leggi che tutelano le associazioni a delinquere invece degli operatori onesti,lavori pubblici presi con il criterio del massimo ribasso spesso da parte di aziende che non hanno capacita' realizzative precedenti che comprovino la loro serieta' e la corretta esecuzione delle opere,di fatto piu' associazioni a delinquere che imprese serie e certificate che scappano preso il primo stato avanzamento lavoro e riaprono 2 giorni dopo con un'altra partita iva e riparte la serie di danni allo stato e ai comuni e a chi li ha serviti,tutto alla luce del sole e concesso da uno stato che permette a un operatore disonesto di ripartire immediatamente senza prima aver saldato i suoi debiti,banche che applicano costi assurdi e dissanguano le imprese colpevolizzando chi riceve truffe e non chi le fa',tempi di riscossione dei crediti soprattutto nel settore pubblico con tempi biblici,nel settore privato non pagare è una moda corrente per i piu' non una cattiva abitudine di pochi,i concordati che sono truffe legalizzate che fanno chiudere imprese sane garantendo impunita' ai disonesti,infine forze dell'ordine quali polizia,carabinieri e finanze che invece di essere al fianco degli operatori onesti riempendo le patrie galere di chi sta' sfruttando leggi permissive per rovinare chi lavora e da' lavoro,osservano impotenti la fine dello stato di diritto,tanto i disonesti sono tutelati perche' questi reati oggi non esistono piu'. Di fronte a quanto esposto,lei sig. ministro che mi dice per dare speranza a quest'Italia seria e onesta che aspetta un segnale forte da un governo di centro-destra che tuteli l'economia sana?? Il ministro mi risponde...IMPARATE DAI SUPERMERCATI;VENDETE E OPERATE PER CONTANTI...altre domande???


Lascio a ogni persona pensante le riflessioni in merito senza commenti!!

Un Buckler padano

giovedì 29 settembre 2011

Dalla speranza alla farsa

Ci eravamo illusi in molti che, per una volta, finalmente, chi ci governa avrebbe cercato di fare le cose seriamente nell'affrontare la lotta all'evasione fiscale. Non certo per nuove energie morali endogene, ma perche' costretti dalla congiuntura internazionale e la strettissima "sorveglianza" dei nostri partner europei. Evidentemente siamo entrati in crisi di astinenza adrenalinica, se abbandoniamo l'idea di pubblicare i redditi nominativamente, per ritornare (esistono già) ai dati anonimi aggregati per categorie. Servono a poco, lo sappiamo tutti, soprattutto non aiutano ad innescare quei meccanismi "psicologici" che potrebbero essere collegati alla nominatività dei redditi resi di dominii pubblico.

L'adrenalina "scorrerà a fiumi", perché siamo tutti qui in attesa di scoprire se i mercati reagiranno bene alla nostra manovrina trasformata in (non) manovra. Limitatamente al tema che più ci interessa credo che il proliferare dei blog, dei commenti e degli pseudonimi dietro i quali si celano semplici cittadini, utopisticamente impegnati a veder trionfare un nuovo senso civico nei confronti degli oneri da sopportare per creare una società migliore, abbia trovato una forte spinta proprio nella "speranza" che sarebbero stati attivati strumenti idonei allo scopo. Gli avvenimenti delle ultime ore ci riportano alla dura realtà: siamo di nuovo alla "farsa". Questo stato di cose, peraltro, non ci deve scoraggiare ma, al contrario, ci deve spronare ad un maggior impegno, perché il "pubblico" non ci aiuterà...anzi. La "lotta" che ci appassiona la dovremo combattere con armi che ci dovremo inventare e, allo scopo, vorrei suggerire ad ognuno di noi di provare a scovare soluzioni pratiche che possano arginare il fenomeno dell'evasione. Vuoi vedere che, pensa che ti ripensa, due o tre cose buone non possano venire fuori? Del resto la mela di Newton non nasce in un laboratorio ma su di un normalissimo albero in un campo! Peccando di presunzione incomincio a dire la mia.

Prima riflessione in negativo. Quasi tutti auspicano la creazione del conflitto di interessi tra chi potrebbe essere tentato di evadere e il cliente che vedrebbe riconosciuto l'onere in deduzione dal reddito. A mio parere i risultati in termini di gettito sarebbero assi scarsi. Già ci sono alcune situazioni simili (es. spese mediche), ma nella generalità dei casi l'offerta di una soluzione di "sconto" (pochi, maledetti e subito, senza impegni formali e di conservazione da rispettare per gli anni futuri) sarebbe sempre piu' appetibile. Certe soluzioni, ovviamente, devono anche poggiare sul reciproco senso civico, nel qual caso la deduzione svolge la funzione di premio a posteriori e non di incentivo scatenante. Ma se ci fosse il necessario senso civico, non saremmo qui a discutere. Passando alla fase propositiva lancio un'idea che potrebbe ottenere effetti ad ampio spettro. Lo Stato si dovrebbe attrezzare, costituendo una società ad hoc, per poter acquistare ogni immobile oggetto di transazione.

Mi spiego con un esempio. Tizio cede a caio un fabbricato al prezzo di 300.000 euro, ipotizziamo che,contemporaneamente, sia previsto un nero di 50.000 euro. Prima che l'atto notarile consenta la legittima trascrizione, lo Stato potrebbe esercitare una propria opzione all'acquisto con un 5% in piu' rispetto al dichiarato tra le parti, cioè a 315.000 euro. Non ho dubbi che l'attivazione di un sistema del genere azzererebbe la volontà di evasione con la conseguenza che, a ritroso, l'effetto sulla genesi di creazione di capitali "esentasse" subirebbe un grosso ridimensionamento. Ovviamente esistono problemi tecnici sottostanti, alcuni li ho individuati e, credo, risolti, ma non e' questa la sede per approfondire. Volevo lanciare la provocazione e stimolare, come già sottolineato, la fantasia di noi utopisti.

Lascio "il volante" ad altri, curioso di scoprire dove mi porteranno.

Samuel Adams

martedì 27 settembre 2011

Instant-book "Le (troppe) tasse degli Italiani"

Da qualche giorno è in edicola, in abbinamento opzionale con il “Corriere della Sera” a 2,80 € aggiuntivi, "Le (troppe) tasse degli italiani”, un instant-book che spiega la situazione italiana sul tema delle tasse dal punto di vista di un cittadino indignato. Si tratta di una raccolta di scritti inediti sulla catastrofica situazione del fisco italiano a firma di Johannes Bückler, con un commento per ciascuno di essi curato da Enrico Marro.
Il libro segue la serie di lettere indirizzate da Bückler al Direttore del “Corriere della Sera” e pubblicate sul quotidiano dal 14 agosto 2011. Le missive, firmate con lo pseudonimo del fuorilegge tedesco Johannes Bückler, da subito hanno riscosso un notevole successo dando voce al disagio e agli interrogativi di molti cittadini. Perché una parte del Paese non paga le tasse? Perché nonostante si parli sempre di informatica non si riescono a utilizzare le nuove tecnologie per aiutare la lotta all’evasione, perché si sente sempre parlare dei tagli ai privilegi dei politici senza che poi le dichiarazioni trovino un seguito effettivo, sono solo alcuni dei quesiti che Bückler presenta.
Mescolando dati e considerazioni dotte su condoni, scudi, Irpef, Iva a uno stile sferzante Bückler si pone come portavoce della società civile italiana, cittadino qualunque, ma anche polemista preparato.
Gli interventi si arricchiscono nel libro di un commento e delle chiare spiegazioni di Enrico Marro per ogni intervento pubblicato, con la supervisione del capo redattore di Corriere Economia Massimo Fracaro.

lunedì 26 settembre 2011

Se la BCE non svela la sua missiva

Leggi la lettera

Caro direttore,
non voglio entrare nel merito della manovra appena approvata e nemmeno della prossima (perché questa non può portare certo a un pareggio di bilancio).
Voglio parlare invece della ormai famosa lettera che la Bce ha inviato al nostro governo ai primi di agosto per sollecitarci ad attuare provvedimenti pena il mancato e futuro acquisto dei nostri titoli di Stato. Essendo a conoscenza della decisione della Banca centrale europea del 4 marzo 2004 (Bce 2004/3) in cui (all' articolo 1) «si concede la visione di tutti i documenti Bce le cui decisioni sono prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini», ho fatto richiesta di una copia della lettera. Gentilissimi, come sempre, hanno subito preso in carico la mia richiesta ed entro il termine di 20 giorni previsto mi è stata inviata la risposta che allego (vedi sotto), comune ai tanti che ne hanno fatto richiesta. Nella stessa mi viene riferito che non è possibile la divulgazione della lettera in quanto «recherebbe pregiudizio ai mercati» (detto in parole povere).
Non soddisfatto della risposta, perché ritenevo che non rientrasse nelle eccezioni previste dalla loro decisione, ho rifatto richiesta, questa volta, al Comitato esecutivo della stessa Banca centrale europea (come previsto dalla decisione di cui sopra) e nei giorni scorsi mi è arrivata la risposta a firma del presidente Jean-Claude Trichet. Nella stessa vengo informato e mi viene ribadito che la divulgazione della lettera «recherebbe pregiudizio alla tutela dell' interesse pubblico in relazione alla politica monetaria dell' Unione». Ora. Io da italiano posso accettare tutto, ma essere preso per i fondelli mi urta un pochino. Prima domanda. Se la lettera era «confidenziale» come mai ne è stata comunicata l' esistenza in una conferenza stampa da parte del nostro governo? Se lei, caro direttore, ricevesse una lettera confidenziale lo scriverebbe sui giornali?
Seconda domanda. Come è possibile che, mentre l' attuazione di provvedimenti contenuti nella lettera tendevano a calmierare i mercati, la sua divulgazione avrebbe l' effetto opposto? A questo punto, come cittadino che non capisce, mi sento autorizzato a pensare che quella lettera non esista e non sia mai esistita. Alla richiesta d' interventi per tranquillizzare i mercati, qualcuno si è sentito autorizzato a inventarsi una famigerata lettera di richieste da parte della Banca centrale europea per ammorbidire e attenuare la prevista perdita di consenso e questo, se mi consente (sta a vedere che mi sono montato la testa), è molto grave.
Naturalmente ho risposto alla Bce nello stesso modo descritto sopra. Attendo sviluppi.

Un caro saluto

Johannes Bückler

p.s. Spero che la mia testardaggine e la pubblicazione di questa lettera non portino turbolenze sui mercati e non inducano le agenzie di rating a declassarci. Vuoi mai, nel caso accadesse, che qualcuno possa inventarsi la favola che la colpa è da attribuirsi ai media.

mercoledì 21 settembre 2011

Bückler, il Fisco e le troppe tasse (che pagano in pochi)

Potrebbe essere il nostro vicino. Ma a pensarci bene scrive cose che pensano in molti. Potremmo essere un po' anche noi, Johannes Bückler. Che dal 14 agosto ha preso carta e penna, anzi ha acceso il suo computer e inviato email e ha scritto quasi ogni giorno delle malefatte del fisco (quando è ingiusto), e delle angherie che i contribuenti onesti sono costretti a subire. Ma anche delle cose complicate che rendono difficile far funzionare la macchina dello Stato. Perché le sue lettere sono una specie di viaggio dentro le regole che (spesso) non funzionano. Dei numeri che non tornano. Dei paradossi. Se è vero, come è vero, che la pressione fiscale effettiva arriva a toccare il 52% ma solo 2.700 italiani dichiarano più di un milione di euro di reddito.

Troppo pochi i signor Bonaventura (in euro) per essere un dato vero. Credibile. Allora il libro «Le (troppe) tasse degli italiani», da oggi in vendita con il «Corriere della Sera» (2,80 euro più il prezzo del quotidiano) è un percorso che qualche volta fa rabbia, qualche altra fa sorridere, con amarezza, i tartassati. Ma che vuole farsi leggere anche da chi le tasse non le paga, in fondo. Ma chi è Bückler? Il nome che ha scelto è quello di una sorta di Robin Hood effettivamente vissuto nella Renania del Settecento. Personaggio anche un po' discusso.

Chi sarà? In fondo non è neppure tanto decisivo scoprire chi è. In fondo sono le cose che racconta ad attirare l'attenzione. Il suo identikit? Il cittadino esausto, il cittadino preoccupato, il cittadino che vede annunciare i tagli alla politica e poi ne perde le tracce. In un passaggio del libro si legge una cosa che mette un po' i brividi: in fondo «sappiamo tutto». Sull'evasione, i numeri, sulle tecniche anti-tasse. Le società di comodo. I segreti per aggirare le regole. Eppure resta lo stupore di un fenomeno che vale ancora 120 miliardi. In questa estate delle quattro manovre un punto ha stabilito Bückler, con le sue lettere-pamphlet, che esiste una grande differenza tra chi «dichiara di più» e chi «ha di più». Due categorie che nel migliore dei mondi possibili dovrebbero coincidere, ma che invece vivono su due pianeti (fiscali) molto diversi tra loro. E che è soprattutto ai secondi che una macchina efficiente del Fisco dovrebbe indirizzarsi. Solo un numero per avere un'idea della strada che c'è da percorrere: metà dell'Irpef viene versata dal 13% dei contribuenti. E il resto? In gran parte sfugge. La via breve, spesso è stata quella del condono. Rumor, Spadolini, Craxi, Andreotti, Dini, Tremonti. E Bückler ci accompagna fino all'imperatore Adriano: nel 116 dopo Cristo decise il condono di tutti i debiti fino a 16 anni prima. Soluzioni antiche, si legge nel pamphlet, che però restano (inique) per chi paga. Allora. E oggi.

Nicola Saldutti

mercoledì 14 settembre 2011

Diritti e iniquità, la pensione della mia vicina

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Caro Direttore,
negli ultimi tempi si è parlato molto della necessità di toccare le pensioni per adeguarle agli altri Paesi europei. Quando Bückler sente parlare di adeguare questo, adeguare quello agli altri Paesi (vedi innalzamento dell’età) si pone sempre la domanda: «Come mai dobbiamo adeguare solo quello che fa comodo a qualcuno e il resto no: gli stipendi degli onorevoli alla media europea, quelli no vero?». Per quanto riguarda il tema delle pensioni o della richiesta di sacrifici in questo momento, chissà come, chissà perché, mi viene sempre in mente la vicina di casa, mia coetanea, in pensione da oltre 22 anni. Certo, mica ha fatto niente d’illegale, anzi. Ha approfittato di anni in cui i dipendenti pubblici godevano di un trattamento pensionistico estremamente favorevole. Potevano, infatti, andare in pensione dopo 20 anni di anzianità invece che i 35 dei privati, e le donne con marito e figli anche dopo 15. E non era finita qui. La giovane età consentiva quasi a tutti di intraprendere un nuovo lavoro e spesse volte in nero.

Perché dico questo. Parliamoci chiaro, i diritti acquisiti sono acquisiti. I contratti sociali vanno rispettati. Però, in un momento come questo, dove vengono chiesti sacrifici a tutti. Scusate, nella fretta ho sbagliato a scrivere. In un momento dove sono chiesti sacrifici ai soliti noti, non sarebbe il caso di chiedere un piccolo contributo, questo sì di solidarietà, alla mia vicina di casa e a chi come lei sta prendendo la pensione da oltre 22 anni sperando che la possa prendere per altri 30 o 40 anni?

Se io fossi un giovane che sta versando contributi, mi porrei la domanda: «Perché devo versare i contributi per pagare le baby pensioni, le super pensioni, le doppie e le triple pensioni? Perché devo pagare le pensioni di parlamentari che hanno lavorato in Parlamento solo pochi anni?» (sulla parola "lavorato" intravedo dell’ironia in voi lettori). Per quanto riguarda il contributo ipotizzato, se proprio non è possibile, qualcuno può dire alla mia vicina di casa di non mettere sempre la parola «equità» in ogni discorso che affronta? Grazie.

Un caro saluto.

Johannes Bückler

domenica 4 settembre 2011

Gli economisti? Certi con due anni di ritardo


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Caro Direttore,
l' arrivo di questa nuova lettera avrà creato in lei e nei suoi lettori (ne sono certo) la curiosità di conoscere il pensiero del cittadino Buckler (ricorda? Quello che non capisce) su quello che sta accadendo in questi giorni. La domanda sarà: "Chissà cosa avrà da dire Buckler sull'iter di questa manovra". NIENTE, ASSOLUTAMENTE NIENTE.
Perché dovrei commentare questo teatrino della politica, per cui un giorno lo metto, un giorno lo tolgo, un giorno lo rimetto, un giorno lo ritolgo, sto provvedimento, senza dirci una buona volta come diavolo la vogliono fare sta maledetta manovra. E mi raccomando, da parte di tutti, nessun pensiero del tipo «ehi, sta parlando degli altri», perché sul palco del teatrino si sono accomodati tutti, nessuno escluso. Niente, non dirò niente fino a quando finalmente uscirà il testo definitivo E FINALMENTE SAPREMO (neanche fossero i segreti di Fatima).
Perché, caro Direttore, se devo dirle la verità, a Buckler in questi giorni, sono passati nella testa tanti brutti pensieri che se, riportati sulla carta, non sarebbero stati altro che una serie di parolacce, insulti, improperi, offese, imprecazioni che non sarebbe bastato l' intero suo giornale a raccoglierle tutte (non ho fortunatamente pensato parole blasfeme perché vuoi mai che se finisco all' inferno rischio di ritrovarmeli di nuovo tutti lì). Oggi volevo parlarle invece di una delle categorie più ascoltate e potenti degli ultimi anni: gli economisti. Una premessa: ritengo gli economisti italiani i migliori. Non è piaggeria, ma quello che penso. Certo, hanno qualche vantaggio in più rispetto agli altri. L' Italia è un Paese con i conti pubblici talmente incasinati che una scuola migliore non potrebbero avere. Infatti, essendo i migliori, alle finanze abbiamo messo un fiscalista (per non farci mancare niente). Adesso ci manca solo che un fiscalista annunci una lotta all' evasione e siamo a posto. Tornando agli economisti, credo di aver trovato una definizione che meglio spieghi cosa sia un economista. Si tenga. «L' economista è quella persona che ti dice due anni dopo cosa era meglio fare due anni prima». Perché non sarà normale che oggi ci vengano a dire che forse Washington avrebbe fatto meglio a salvare la Lehman Brothers invece di lasciarla fallire scatenando un terremoto sui mercati. Non è possibile che mai una volta riescano a dirci prima cosa accidenti succederà l' anno dopo, ma sempre almeno due anni dopo. Qui qualcosa non torna. Le faccio una domanda : dove nascono e succedono i più grandi casini economici del mondo? Credo che la risposta sia per chiunque «dagli Stati Uniti». E allora come diavolo è che il premio Nobel dell' Economia viene sempre assegnato (a parte Modigliani, un italiano appunto) a economisti degli Stati Uniti? Qualche dubbio, sulle persone che assegnano i Nobel, nasce, non crede? Certo, una certa incoerenza nei giudizi si vede per esempio anche nei Nobel per la Pace. Obama, che non si ricorda nemmeno lui quante guerre ha in ballo per il mondo, messo lì con Madre Teresa di Calcutta e la Croce Rossa.
Con tutto il rispetto, (non si offenda Obama), qualche piccola differenza esiste. Come è successo che negli anni in cui si è scatenata la crisi, gli americani abbiano vinto il Nobel per l' economia con tutto quello che hanno combinato? E cosa avremmo dovuto dare allora alle donne, casalinghe e non, che sono riuscite a far quadrare i conti in quegli anni di crisi con 800-1.000 euro al mese? Ehi, mi è venuta un' idea: qualche casalinga disposta a far quadrare conti di uno Stato? Riconoscenza garantita.

Un caro saluto

Johannes Bückler

P.S. Della serie "al peggio non c' è mai fine", dal 1 settembre è entrata in vigore la famigerata Legge Levi, per cui non si potranno applicare sconti sui libri superiori al 15% del prezzo di copertina. Posso capire tutto, ma in un Paese dove già si legge poco, questo fa pensare che qualcuno veramente giochi contro.