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martedì 12 agosto 2014

Lotta all’evasione: chiediamo aiuto alle Banche.


In questi giorni abbiamo sentito parlare di anatocismo. Per i non addetti ai lavori, mi permetto di ricordare il significato del termine. La definizione è stata estrapolata da una enciclopedia on.line: “Con il termine anatocismo (dal greco anà - sopra, e tokòs - prodotto) si intende la capitalizzazione degli interessi su un capitale, affinché essi siano a loro volta produttivi di altri interessi (in pratica è il calcolo degli interessi sugli interessi).
Nella prassi bancaria, tali interessi vengono definiti "composti". Esempi di anatocismo sono il calcolo dell'interesse attivo su un conto di deposito, o il calcolo dell'interesse passivo di un mutuo”.
Alcuni giorni fa è stato possibile registrare la mancata approvazione della legge che prevedeva l’abolizione dell’anatocismo. Mario Draghi, nella sua prima audizione della nuova legislatura di fronte alla Commissione Affari Economici e Monetari del Parlamento europeo a Strasburgo, aveva reso dichiarazioni sulla difficile congiuntura economica. Le attese della Bce per la seconda metà del 2014 e il 2015 erano quelle per un recupero più consistente dell’attività economica. Sugli eventuali e possibili recuperi, era stato ipotizzato l’incoraggiamento del credito, eventuale riduzione del tasso di interesse, e l’ipotetico programma di rifinanziamento delle banche finalizzato alla concessione di credito a famiglie e imprese. Puntualmente i recenti dati ISTAT hanno confermato il momento di profonda recessione.
Quanto promesso sono tutti bei propositi. Analizzando l’operatività di numerose banche (italiane) è possibile notare come lo sguardo delle stesse è rivolto in ben altra direzione. In questo momento il sistema bancario italiano è impegnato a realizzare facili guadagni, certi e altamente remunerativi. Come? Certamente non concedendo credito alle famiglie e ad imprese, mutui per l’acquisto della prima casa, così come auspicato dagli appelli del Presidente della BCE. Sul sito di una affermata azienda del settore della commercializzazione dei diamanti, è possibile leggere che “la stessa è una società di intermediazione che vuole rappresentare il punto di incontro tra la domanda e l’offerta dell’investimento in diamanti.
La domanda è rappresentata dalla richiesta di cittadini italiani che desiderano investire in diamanti”. La negoziazione è garantita da un gruppo di banche che hanno aderito a questa iniziativa e che hanno costituito una partnership per gli investimenti in questo settore, ricevendo in contropartita una lauta commissione ( qualcuno indica il 12% circa).
“Oggi, investire in diamanti, è un’ottima opportunità per chi vuole diversificare il proprio portafoglio senza correre rischi, scegliendo un bene che, storicamente, si è sempre rivalutato coprendo inflazione e svalutazione.
Parlare di investimento in diamanti significa proporre l’investimento nel bene rifugio per antonomasia: è il più grande valore nel più piccolo spazio”.
La cosa che stupisce è che la banca (a cui ci si rivolge per l’operazione) non è tenuta – non si sa in virtù di quale principio o norma – alla segnalazione (tracciabilità) dei dati personali dei richiedenti l’operazione, così come previsto dalle norme dell’antiriciclaggio per tutte le operazioni che superano un certo importo.
Quindi chiunque può tranquillamente accedere a questo tipo di operazione, senza temere di essere identificato e di rimetterci nulla. Si. Perché il bene (diamanti) non è pignorabile o sequestrato in caso di reato fiscale. Mi chiedo com’è possibile non prevedere controlli sulla correttezza e regolarità di queste operazioni, non ipotizzando comunque una forma di rilevazione e segnalazioni alle Autorità competenti.
Di fatto ritengo, da uomo della strada, che tutti coloro che si avvicinano a questo tipo di transazioni (certamente la gran parte) sia finalizzato ad un investimento sicuro, lontano da occhi e controlli indiscreti.
Di fronte a questo scenario, mi chiedo e chiedo agli addetti ai lavori, se sia possibile trovarsi davanti ad una scarsa attenzione dei preposti ai controlli, o alla carenza di disposizioni di legge che hanno come obiettivo il controllo delle attività bancarie o il rispetto della normativa antiriciclaggio.
Su tutta la vicenda, sarebbe interessante e certamente costruttivo un parere del preposto all’Autorità nazionale anticorruzione, Dott. Raffaele Cantone.

Rino Impronta

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