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mercoledì 22 giugno 2016

Schio, una strage dimenticata. Fino ad oggi.


06 Luglio 1945 - Schio, provincia di Vicenza

Una lieve brezza ha spazzato via l'afa. La guerra è finita da nove settimane. In via del Baratto, l'edificio delle carceri ha una grande portone in legno e inferriate alle finestre.

Di fronte alla prigione c'è l'Osteria dei Tre Morari, meta ambita di molti abitanti. Tra partite di scopa e quartini di vino anche i custodi del carcere passano lì il loro tempo libero. Sono le 20 e Giuseppe Pezzin, capo guardiano, si accinge a salutare gli amici e a rincasare nell'alloggio al primo piano.

Due giovanotti armati lo fermano sull'uscio :"Vieni con noi" ingiungono i due. "Non ho fatto niente", replica il Pezzin pensando a qualcosa di spiacevole. "Vieni con noi e basta". Giuseppe li segue.

Fa ancora chiaro, e verso occidente il cielo è di un rosso vivo. Ai due accompagnatori si aggiunge una terza persona che intima al Pezzin: "Dacci le chiavi del carcere". Il Pezzin obbedisce. Ha paura per sé e per la sua famiglia. Arrivati alla prigione i tre si infilano nell'androne. Da un angolo sbuca un altro gruppo di uomini armati. Alcuni sono mascherati, entrano e si avviano nell'ufficio matricola per visionare l'elenco dei detenuti. La prigione di Schio ha due cameroni di 10 metri per 6. Uno al pianterreno e uno al primo piano.

Di regola i detenuti sono pochi. Ubriachi molesti o ladruncoli, ma in questi giorni ci sono 99 persone. Non tutti sono fascisti. Gli uomini lo sanno. Ma importa poco. I prigionieri vengono ammassati alle pareti dei due cameroni. E' circa mezzanotte. Il Pezzin, rinchiuso in un angolo della prigione con la sua famiglia, sente le raffiche. Quattro minuti durano. A terra un groviglio di corpi, uomini, donne e giovani. Un vero carnaio.

Quegli uomini hanno appena massacrato 54 persone, tra cui 14 donne (una ha 17 anni) e 7 minori.

Quello che trovarono i soccorritori fu qualcosa d’indescrivibile. Dalle scale della prigione un fiume di sangue aveva raggiunto la strada. Incrociando gli assassini in ritirata furono costretti a gettare a terra le barelle per non essere malmenati. Quando entrarono videro qualcosa di terrificante. In un groviglio spaventoso di corpi si udivano i lamenti di alcuni feriti, le urla di disperazione di chi era sopravvissuto a un loro caro. Come Umberto Perazzolo e il maestro elementare Rino Tadiello, abbracciati ai cadaveri dei loro figli.

Perchè Schio? In quei giorni si era diffusa la notizia che 13 cittadini di Schio erano morti a Mauthausen. La voce che girava era: "dobbiamo vendicarli". Il popolo chiedeva vendetta.

Il mandante si chiamava Gino Piva. Il suo braccio destro Ruggero Maltauro. Naturalmente fascisti anche loro fino 25 luglio del 1943. Antifascisti dal giorno dopo. Maltauro addirittura membro della polizia ausiliaria.

Non ci volle molto a convincere qualcuno che bisognava vendicarsi. All'inizio pensarono pure di far saltare il carcere con tutti dentro.

“Quella notte erano in giro per Schio, uno con la fidanzata, uno alle giostre, altri nelle balere, al caffè, a bighellonare in attesa di far tardi, da bravi vitelloni locali”
La mattina dopo per Schio a vantarsi di quello che avevano fatto. Nessun pentimento o rimorso. 

L'autorità militare alleata, che aveva poteri sovrani in Italia, avocò a sè le indagini e accertò che la strage era stata decisa da elementi fanatici e individuarono i 15 responsabili. 

Accertarono che delle 54 vittime solo 27 avevano aderito (solo simpatizzanti) alla Repubblica di Salò. Altri erano lì per reati comuni o in attesa di giudizio.

Come andò a finire?

Vi furono subito arresti e confessioni, pure condanne, ma per soli pesci piccoli. I maggiori responsabili se la cavarono fuggendo all’estero.

#MdT 13/09/1945 Questa la prima sentenza, tra cui spicca la condanna a morte per Bortolaso Valentino. 




Leggila integralmente >>>>>

#MdT 21/12/1945 - Le condanne a morte dei responsabili dell'eccidio di Schio (tra cui Valentino Bortolaso) sono commutate in ergastolo.


Poi la solita conclusione all’italiana, gli indulti, le amnistie, infine tutti a casa, dimenticati.
Tutto dimenticato. Fino ad oggi...


#MdT 21/06/2016 - Valentino Bortolaso, uno dei responsabili dell'eccidio di Schio viene insignito dal prefetto di Vicenza della “medaglia d’oro della Resistenza”. 

Giovanni Bortolaso, eroe della Liberazione.
L’uomo (arrestato per l'eccidio) che il 22 Agosto 1945 aveva rilasciato questa deposizione:


“Io diedi l’ordine a quelli che rimasero giù di sparare quando avessero sentito sparare di sopra. Abbiamo tolto gli 8 o 9 uomini prigionieri delle due piccole celle del primo piano e li abbiamo portati al secondo piano dove c’erano le donne detenute, mettendoli davanti ad esse. Due donne, detenute comuni erano state tolte dal gruppo delle detenute e portate fuori, ma non so dove. Incominciammo a sparare verso le 12 e ¼. I primi colpi vennero sparati al piano superiore. Io avevo due caricatori con circa 70 colpi in tutto.Quando pensammo che tutti fossero morti, siamo usciti tutti assieme dalle prigioni, poi ognuno se ne andò per conto suo”.

Leggi l’intera deposizione >>>>>>

La notte tra il 6 e il 7 luglio 1945, nove settimane dopo la fine della guerra, rimasero sul pavimento del carcere 54 corpi . Uccisi solo per vendetta. Una vendetta atroce, inutile.

Che non meritava certo una medaglia d’oro. Ieri, come oggi.

Johannes Bückler


giovedì 2 giugno 2016

Paolo Savona. Chi è costui?


Paolo Savona? “Un grande studioso e un bravo parlatore, ma un pessimo organizzatore”, parole di Franco Mattei (direttore generale uscente di Confindustria nel 1976 quando arrivò Savona). Non so sia vera la definizione di pessimo organizzatore, sicuramente uno litigioso, quello sì. Il suo carattere difficile si è scontrato un po’ con tutti.
Da Romano Prodi quando era all’Iri, a Franco Bernabè quando era all’Enel. Litigò pure con Antonio Cassese sulla privatizzazione dell’Enel e litigò pure con Francesco Saja. Nell’ottobre del 1983 disse “basta litigare”. Se non mi date ragione mi dimetto. Naturalmente non si dimise. Il suo punto di riferimento era Giorgio La Malfa, amico personale, ma non disdegnava frequentare democristiani.

Negli anni ’80 guai a chiamarlo “politico”, lui era solo un tecnico al servizio della politica. Era stato Carli nel 1976 a portarlo con sé. Un nome che oggi farebbe inorridire i grillini perché il suo attaccamento alle poltrone è proverbiale.

Era alla presidenza del Credito industriale sardo nel 1982 quando fu nominato Segretario generale della Programmazione con La Malfa ministro del Bilancio. Gli fecero notare che la legge non consentiva la compatibilità del nuovo incarico con quello precedente. Lui alzò le spalle e si tenne i due incarichi.

Nella BNL (nel 1992) fece anche peggio. Una volta nominato direttore generale e poi amministratore delegato gli fecero notare due cose. Primo doveva essere assunto  dalla BNL e poi successivamente  dimettersi da tutti gli altri incarichi per incompatibilità (secondo la legge). Lui ci pensò un attimo e trovò la soluzione. Farò il direttore generale della BNL non c'è bisogno di assumermi, mi pagate lo stesso e così non lascio tutti gli altri incarichi. Forte. Non durò molto nemmeno lì. Alla prima litigata con Cantoni (comando io comandi tu) si guardò intorno e trovò un incarico che non era incompatibile con tutti gli altri incarichi. E andò alla presidenza del Fondo interbancario di garanzia.

E' ospite fisso al Bilderberg. A suo tempo era solito andarci con l'amico Gianni Agnelli usando il Concorde.

Giudicarlo è impossibile. L'unica cosa certa che  da vero “liberista”, come si definiva, era un pochetto ondivago.
Le sue idee sulle privatizzazioni cambiavano continuamente e a volte incomprensibilmente. Come quando si parlò di privatizzare la Stet. W la privatizzazione, ma solo alle famiglie Pirelli e Agnelli, disse, altrimenti niente.

Era talmente liberista che quando il presidente dell' Eni Franco Bernabé decise di chiudere gli stabilimenti Enichem di Crotone perché in perdita e improduttivi, lui si oppose apertamente.

Cassese pensava alla riorganizzazione dell' ente di vigilanza sulle assicurazioni, l' Isvap? E lui era contrario. Un liberista che nessuno capiva.

Quando l’Antritrus definì il progetto per la privatizzazione dell' Enel un autentico "monopolio privato" di chi era il progetto? Sempre suo. Del liberista Paolo Savona.

Un tipetto che guai a criticare il suo lavoro o le sue idee. Quando si dimise dopo l’ennesima litigata con Prodi sulle privatizzazioni giurò che non sarebbe mai più tornato alla politica. Qualche incarico non politico quello sì però (te pareva).

Come tutti quelli che invecchiano male e non riescono a sopportare l'oblio, da alcuni anni persegue il filone che riesce a dare anche a dei semplici sconosciuti economisti visibilità e soldi. Parlo dell'antieuropeismo. Si vanta infatti di aver scoperto un famigerato "Piano Funk" (ministro dell'economia nazista) che prevede una Germania egemone dove tutte le monete si devono comportare come il marco tedesco. Un complotto tipo "Piano Kalergi" per intenderci. Che dire. Walter Funk era un semplice esecutore (aveva sostituito Hjalmar Schacht poco malleabile a detta di Hermann Goring) e può darsi abbia scritto cose del genere a quei tempi. Ma credere ai complotti, via. Siamo seri.
E poi, un membro del Bilderberg che crede ai complotti? Fa ridere dai.

Johannes Bückler

martedì 31 maggio 2016

"Mussolini ha fatto anche delle cose buone".


Un passo indietro 

Giugno 1948 
Il Ministro delle Finanze Ezio Vanoni ha ricevuto l’incarico di migliorare un sistema tributario antiquato. Un sistema costituito da numerose imposte che grava soprattutto sui ceti medi rispetto, per esempio, alla grande borghesia. Le imposte dirette sono solo ¼ delle entrate fiscali. E’ necessario commisurare l’imposta al reddito realizzato ed applicarla alla realtà.

Gennaio 1951
Legge 11 gennaio 1951, n. 25, detta anche legge Vanoni. E’ il primo atto legislativo di perequazione tributaria. Suo scopo è quello di instaurare, attraverso la dichiarazione, un nuovo clima nei rapporti con il fisco. La dichiarazione sarà annuale, analitica ed unica, e permetterà al fisco di conoscere la situazione complessiva del contribuente. La legge Vanoni ha inoltre disposto una nuova tabella di aliquote, che va da un minimo del 2% ad un massimo del 50%, riconoscendo al tempo stesso il minimo esente di 240.000 lire e la detrazione di 50.000 lire per ogni membro a carico del contribuente, incluso il coniuge.

Sabato 27 gennaio 1952 
La sede dell’Ufficio Tributi del Comune di Roma si trova in via del Teatro di Marcello. Coincidenza vuole che si trovi a pochi metri dalla “Bocca della Verità”. Oggi è un giorno particolare, atteso da molti giornalisti. In base alla legge Vanoni, ogni comune è tenuto a rendere pubbliche le dichiarazioni dei redditi dei cittadini italiani. Tra poco quelle del 1951 che fanno riferimento ai redditi del 1950. I giornalisti però stanno aspettando soprattutto quelle dei politici. Troppo forte la tentazione di beccare qualche potente di turno in castagna.
Non sanno ancora quello che sta per accadere.

I corridoi del pianterreno dell’Ufficio Tributi sono affollatissimi. Oltre ai giornalisti ci sono molti cittadini comuni. Chiaro il loro intento. Sono lì perché vogliono conoscere le cifre dichiarate da amici e conoscenti. La curiosità è enorme.

Si inizia.
Per i giornalisti la caccia ai redditi delle varie personalità, della nobiltà, dello spettacolo, ma quando arrivano alla parte riguardante i politici qualcosa non torna.

Il primo nome è quello del Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, tra i primi a consegnare la dichiarazione dei redditi. Il Capo dello Stato ha dichiarato per l’anno 1950 una cifra pari a 1.259.000 . Subito dopo Einaudi con lire 1.290.000, Campilli con 8.337.125 e Merzagora con 6.500.000. Il senatore Mario Cingolani 1.328.425 e il senatore Giorgio Tupini, sottosegretario alla presidenza del Consiglio 1.940.000.

Prime perplessità: il ministro Vanoni ha dichiarato solo 181.300 lire. De Gasperi ancora meno, 108.000 lire. E poi? Niente. Non ci sono tracce di altri politici. Tutti gli altri non hanno dichiarato redditi.

Dove sono i redditi di Palmiro Togliatti, Pietro Nenni, Mario Scelba, Luigi Longo, Giuseppe Di Vittorio, Renato Angiolillo, Mauro Scoccimarro, Randolfo Pacciardi, Giuseppe Saragat? Tutti nullatenenti? Impossibile. Per stare sui banchi di Montecitorio e di Palazzo Madama lo Stato corrisponde loro 250.000 lire mensili quindi 3.000.000 di lire annui. Ministri e  sottosegretari ricevono un’indennità ancora maggiore. Perché allora i maggiori esponenti politici italiani non hanno dichiarato nulla? Il mistero viene svelato quasi subito.

Quasi tutti i politici non hanno dichiarato redditi nel 1950 grazie ad una legge fascista del 30 novembre 1929. Mentre la dittatura cancellava tutte le libertà, il ministro delle Finanze del governo guidato da Benito Mussolini, Antonio Mosconi, stabiliva che le indennità parlamentari fossero esenti dal prelievo fiscale.

La dittatura è finita, ma si sono tenuti questo privilegio. Non pagare le tasse sfruttando una legge fascista. Una legge non solo mai abrogata (come era successo alle altre) ma addirittura ribadita con la legge n. 1102 del 9/08/1948. Con 338 voti favorevoli, 37 contrari e 2 astenuti.

Diversi i tentativi di cancellare la legge n. 1102 del 9/08/1948.

13 Marzo 1952 
Proposta di legge del deputato Rodolfo Vicentini (DC) per la cancellazione dell’art. 3 della legge n. 1102 del 9/08/1948. 

Ma la maggioranza non è d’accordo.

27/01/1954. 
Altra proposta di Vicentini. Ma non se ne fa niente. 

1958
E poi ancora. Flavio Orlandi (PSDI).

Troppi i cassetti negli edifici del Parlamento. Le proposte di legge spariscono.

1962 
Malagodi del PLI ritrova la proposta di legge Vicentini e la ripropone in Parlamento. Ma ad aprile si vota. Viene riposta nel cassetto.

1963 
Giuseppe Amadei (PSDI) la ritrova e la ripropone più articolata. Ma sparisce in un altro cassetto.

1965 
Con l’opinione pubblica sempre più arrabbiata finalmente la legge n. 1102 del 9/08/1948 viene cancellata con la legge 31 ottobre 1965, n. 1261



Però non esageriamo…

Sempre per non esagerare nello stesso giorno si aumentarono l’indennità parlamentare da 500.000 lire mensili nette a 800.000 lire lorde (750.000 nette).
Della serie,“calma con i facili entusiami”.


Sì, Mussolini ha fatto anche delle cose buone. Insomma...

Johannes Bückler


venerdì 27 maggio 2016

Ragazzi di buona famiglia


Milano, 28 maggio 1980 ore 8.30

La sveglia rossa, enorme di bambino, lo svegliò.
L’aveva caricata e controllata scrupolosamente per essere certo di non mancare all’appuntamento. Si vestì e andò in cucina dove trovò il padre intento a bere una tazza di caffè. Gli fece compagnia.
Fuori pioveva. Non forte, solo una pioggerellina fine, fine.

Dopo aver fatto colazione Paolo (questo il suo nome) uscì in strada, inforcò la bicicletta di papà appoggiata in fondo all’androne e si diresse verso la stazione di Porta Genova. Lì aveva appuntamento con i suoi amici. “Tra le 9.30 e le 9.45” si erano detti il giorno prima. Ci vollero circa dieci minuti per arrivare alla stazione.

La stazione di Porta Genova è la più antica stazione di Milano, e si vede. Ormai ci passa solo qualche treno di pendolari, niente di più. 

Arrivò sgommando e vide gli amici. C’erano tutti, Marco, Paolo, Fabio e Gianni ad attenderlo. Girò su se stesso, senza parlare, e pedalando piano si mise alla testa del gruppetto. Arrivarono ben presto in via Solari dove trovarono Ippo, che si allontanò di corsa facendo finta di non vederli. Non era scortesia, lui doveva solo controllare una cosa e dare conferma ai suoi amici. E quello aveva fatto, per oltre due ore. Ora che li aveva visti arrivare poteva tornare a casa sua ad Arona.

Paolo accelerò, fece il giro dell’isolato e appoggiò la bicicletta alla fermata ATM. Marco e l’altro Paolo sopraggiunsero da Via Cerano seguiti a breve distanza da Fabio. Paolo osservò Marco e l’altro Paolo fermarsi vicino all’edicola. Notò l’assenza di Gianni, ma sapeva benissimo dov’era. Aveva parcheggiato la Peugeot grigia metallizzata in Via Salaino ed aspettava, come da accordi, seduto alla guida.

Ora toccava a lui. Il suo compito era quello di osservare. Al momento giusto avrebbe inforcato nuovamente la bici avvisando con quel gesto i suoi amici. Fu un’eternità quei 45 minuti passati sotto la pioggia.

Poco prima delle 11 la pioggia smise di cadere proprio nello stesso momento in cui vide l'uomo. Saltò sulla bici come un fulmine e pedalò velocemente senza voltarsi. Marco e Fabio capirono e si spostarono verso il numero civico n. 2.

L'uomo era uscito di casa, aveva un impermeabile blu sbottonato e un ombrello che usava come un bastone da passeggio. Camminando tranquillo giunse all’incrocio con via Salaino, si infilò tra le auto parcheggiate e si diresse verso l’edicola. “Vorrà comprare un giornale” pensò Marco e, seguito da Fabio, si allontanò velocemente dall’edicola. Inaspettatamente l'uomo tornò indietro dirigendosi verso via Valparaiso.  Era lì, in un garage, che teneva la sua Ritmo. Gianni, che attendeva all’interno della Peugeot, vide negli specchietti la scena. Lui davanti,  e dietro, con passo spedito, Marco e Fabio che si avvicinavano all'uomo.

Arrivato alla sua altezza Fabio estrasse una 7,65 col silenziatore a sparò. Il primo proiettile entrò “nella regione sternocleidomastoidea superiore sinistra”. Entrò e uscì all’altezza del naso. L'uomo vacillò. Il secondo proiettile si “conficcò nell’emitorace sinistro a 125 cm dalla pianta dei piedi facendo un foro di 0,5 cm”. “Perforò quindi i lobi inferiori e superiori del polmone sinistro, uscendo dalla regione sternoclaveare”. L'uomo rotolò sul fianco sinistro, tra due Fiat parcheggiate. Cadendo la sua Parker scivolò dal taschino della giacca. Il terzo proiettile “lacerò i tessuti molli dell’emitorace destro”. Non ci furono altri proiettili dall’arma di Fabio perché la pistola si inceppò. Fabio continuò a premere, ma senza successo.

Marco nel frattempo gli era arrivato vicino. Estrasse la calibro 9 con silenziatore e sospirò pensando che aveva anche un 38 Smith & Wesson per ogni evenienza. Sparò, ma il primo colpo mancò il bersaglio. Il secondo “perforò il polmone, attraversò l’arteria polmonare e l’aorta andando a conficcarsi a 140 cm dalla pianta dei piedi”. L'uomo era già morto.

Furono le grida dal palazzo di fronte a risvegliare Marco e Fabio dal torpore. La Peugeot era vicina, Fabio gridò “andiamo, andiamo” e si diresse verso l’auto salendo a fianco di Gianni. Marco lo seguì salendo dietro. L’auto partì sgommando.

Paolo stava pedalando di buona lena. Voleva arrivare a casa il prima possibile per ascoltare il conduttore del Tg delle 12.45. Aria contrita e di circostanza avrebbe aperto il telegiornale con la notizia :”L'uomo è stato ucciso”. L'uomo è Water Tobagi.



Sono da poco passate le 11 di mercoledì 28 maggio 1980. Paolo,  sulla bicicletta del padre, percorre Via Stendhal a Milano.

29 maggio 1980
Marco è nel suo appartamento in Via Solferino a Milano. Ha scritto il documento di rivendicazione dell’assassinio di Walter Tobagi. E’ soddisfatto. Una lunga sintesi di anni di lotta, fin dai tempi di Guerriglia Rossa, i suoi inizi, alla Brigata 28 marzo, il presente.

Milano, 15 settembre 1980 ore 19.00
Marco è entrato nella bar-pasticceria Gattullo di Piazzale di Porta Lodovica. Un posto raffinato adatto a gente come lui di buona famiglia. Sono tutti lì, a parte Gianni che non sono riusciti a contattare. E' la prima volta che si ritrovano tutti insieme. Appoggiati al bancone di marmo leggono sull’Espresso” una notizia: il Generale Dalla Chiesa ha dichiarato ad una commissione d’inchiesta che sono vicini ad arrestare gli assassini di Walter Tobagi. Pagano il conto, escono dal locale e si incamminano sorridendo parlando del futuro.

Milano, 25 settembre 1980
Marco è seduto nel suo appartamento di Via Solferino. Nemmeno se ne accorge. Si ritrova ammanettato. La caserma di Porta Magenta la sua destinazione.


Il sostituto procuratore della Repubblica di Milano Armando Spataro è seduto di fronte a Marco per il primo interrogatorio.

4 ottobre 1980
Marco, nome completo Marco Barbone, ha deciso di vuotare il sacco. Il Parlamento italiano sta per varare una legge che assicura sconti di pena agli assassini che permettono l’arresto dei loro compagni. Basta rinnegare tutti i propri ideali, rinnegare 10 anni di lotta armata e si può farla franca. E prende la palla al balzo. Confessa e denuncia i suoi compagni.

Tutti i componenti della Brigata 28 marzo verranno arrestati grazie alle confessioni di Marco Barbone.
                                                       Il processo e la liberazione.

Anno 2008

Marco Barbone.
Figlio di Donato Barbone, dirigente editoriale della casa editrice Sansoni, aveva frequentato tra il 1971 e il 1976 il Liceo classico Giovanni Berchet di Milano.  Nel 1983, condannato a 8 anni e 9 mesi di reclusione, venne immediatamente scarcerato perché gli fu riconosciuto il  pentimento. Diventerà collaboratore di giustizia. Nel 1985 la corte d’appello confermerà la scarcerazione. Nel 1986 la Cassazione respingerà ogni ricorso da parte dei legali di parte civile. Oggi lavora nel campo editoriale. Convertito al cattolicesimo, è entrato in Comunione e Liberazione. Ha avuto incarichi nella Compagnia delle Opere.

Paolo Morandini (il ragazzo della bicicletta).
Figlio di Morando Morandini, attore e critico cinematografico. Come Marco Barbone divenne subito collaboratore di giustizia e ottenne la libertà provvisoria. Le ultime notizie lo danno a Cuba. 

Gianni (l’autista sulla Peugeot).
Vero nome Daniele Laus. Il padre era dirigente in un'azienda di acque minerali, la madre insegnava lingue. Quando fu stato arrestato era iscritto alla facoltà di architettura di Firenze. In precedenza aveva frequentato il liceo classico Beccaria a Milano. Confessò come Marco Barbone, ma poi ritrattò. Condannato 27 anni e 8 mesi in primo grado. In secondo grado la pena scese a 16 anni. Venne scarcerato dopo soli 5 anni di carcere. Oggi lavora come free-lance in campo editoriale.

La nuova legge sulla carcerazione preventiva prevedeva che chi aveva usufruito dell' articolo 4 in qualità di dissociato (ottenendo così una condanna inferiore ai vent'anni di reclusione), poteva lasciare il carcere dopo almeno quattro anni di custodia cautelare. Daniele Laus ne aveva fatti già cinque e per questo venne scarcerato.

Paolo (l’altro Paolo). Detto “Cina”, vero nome Francesco Giordano.
Incaricato di coprire gli assassini di Walter Tobagi. Capì l’assurdità di quello che avevano fatto, e per questo preferì pagare senza avvalersi della legge sui pentiti. E fu l’unico. Gli venne comminata la pena più alta, 30 anni in primo grado e 22 in secondo grado. Ora vive a Milano con la famiglia.

Fabio detto il francese, vero nome di Mario Marano.
Fu lui ad esplodere i primi colpi contro Water Tobagi. Si pentì tra il primo e secondo grado e per questo condannato a soli 12 anni di reclusione. Ora vive lontano dalla politica essendosi avvicinato “a una visione cristiana della vita”.

Nel 1980 operavano a Milano 77 organizzazioni clandestine di estrema sinistra. Le Brigate Rosse e Prima Linea su tutte. 



“Evitiamo che si avveri, così come vuole il terrorismo, l’imbarbarimento del Paese. Non interrompiamo mai un civile dibattito”. (Walter Tobagi)


Johannes Bückler

venerdì 25 marzo 2016

“Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo”


Mussolini, agli inizi del governo fascista, interpellò il sen. Guido Mazzoni, nonché docente universitario, e gli pose questa domanda: “Crede lei professore, che la storia sia maestra di vita?” Pronta la risposta: “Io ci credo, ne sono fermamente convinto, quantunque non mi pare abbia mai insegnato niente a nessuno”.
E’ passato quasi un secolo e la storia, sempre maestra di vita, ha continuato ad avere una scolaresca piuttosto disattenta. Anzi, in alcuni casi, gli scolari hanno persino imparato le cose a rovescio. Difficile capire il perché. Forse perché la vita ripete sì le stesse situazioni, ma in circostanze diverse e poco confrontabili? Forse perché la storia è una materia che non appassiona nessuno, soprattutto i giovani, convinti di poter fare tutto e sempre, meglio dei loro padri? O più semplicemente analizzare la storia e i suoi cicli, per poter meglio comprendere il presente, richiede impegno, studio e tanta fatica? Non so.
Eppure conoscere le vicende passate e le condizioni di vita di quelle epoche potrebbe sollevarci da quel senso di paura del futuro e di catastrofismo che ormai ci circonda.
Non passa giorno senza che qualcuno cerchi di convincerci che quello che stiamo vivendo è sicuramente il momento più precario e insicuro della storia del genere umano. Non è così.
Oggi l’uomo, per quanto crudele, lo è sicuramente meno di un tempo, la donna meno oppressa e maltrattata, i giovani meno esposti a sacrifici che hanno impregnato la nostra gioventù.
Miliardi di esseri umani sono passati da catastrofi immani, da guerre fratricide e da tragedie immense, ma sono ancora qua, con una speranza di vita mai così alta.
Per quanto riguarda il nostro Paese, chi ricorda la povertà degli anni sessanta, non soffre oggi di ansia ad ogni risveglio.
Chi ha vissuto gli anni settanta e ottanta, non soffre di attacchi di panico a ogni avvenimento, per quanto tragico e doloroso. Nessuno dovrebbe dimenticare che abbiamo vissuto col più crudele e sadico dei terrorismi. Un terrorismo che arrivò a sequestrare uomini inermi, per umiliarli, e finirli poi come bestie.
Abbiamo convissuto con il sequestro di persona, a fini di estorsione, elevato a industria: il crimine più infame quando soggetto ne sono i bambini.
Per non parlare dei massacri che insanguinarono il Paese, tali da costringere il Parlamento a istituire una Commissione Stragi permanente, a oggi, unico Paese al mondo.
Insomma, conoscere la storia è la migliore terapia contro il virus del catastrofismo dilagante, del pessimismo diffuso, sicuramente la migliore chiave di lettura del presente che tanto ci spaventa.
E capire il presente, oggi, è indispensabile. Per capire la società in cui viviamo, l’uomo e i suoi rapporti, non solo in ambito locale, ma europeo, internazionale. L’unico modo per riuscire a sviluppare idee per soluzioni fattibili, concrete e non semplici e inattuabili come alcuni politici vogliono farci credere.
Come scrisse il filosofo George Santayana nel suo lavoro dal titolo La vita della ragione: “Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo”.
In molti casi, proprio quello che non vogliamo.

Johannes Bückler

sabato 27 febbraio 2016

Squali, Viceré e dentiere.


Ho letto che gli squali, che hanno fauci enormi, denti acuminati e affilati come rasoi, in realtà si sono evoluti nel tempo con una dentatura adatta alla dieta di ogni specie. Allo stesso modo, per come le tangenti si sono sviluppate nel corso degli anni, posso dire che “Operazione squalo” avrebbe meglio rappresentato l’ennesimo scandalo nella sanità lombarda. Altro che “Operazione smile”.
Qui l’unico sorriso è stato, per anni, quello di delinquenti (le prove sembrano schiaccianti) che lucravano senza ritegno sulla salute di noi cittadini. La vicenda è inquietante e degno di lode (sich!) il fatto che il governatore Maroni abbia sentito il dovere di farci sapere di essere arrabbiato e deluso. Lui. Figuriamoci noi.
Al grido: “queste cose non le tollereremo più” (che non manca mai in questi casi), ora la regione Lombardia vuole creare un’autorità anti-corruzione e, tenetevi forte, l’ennesima commissione d’inchiesta.
Ma io dico. Abbiamo avuto in Lombardia il “Comitato regionale per la trasparenza degli appalti e sicurezza dei cantieri” nato con legge regionale 3 maggio 2011, n. 9, al fine di vigilare sulla trasparenza degli appalti e sulla sicurezza dei cantieri con particolare riferimento ad Expo 2015. Sappiamo com’è andata a finire. Nel maggio 2014, la Commissione d'inchiesta su appalti sanità e sull’operato di direttore Ao e Asl. Nel novembre 2015 l’Agenzia di controllo sul sistema socio-sanitario. A cosa sono servite?
Mai, e dico mai che la politica sia riuscita ad arrivare prima della magistratura. Cari politici lombardi, ho la fortuna di essere una persona discretamente agiata, per intenderci faccio parte di quel 4,01% di contribuenti che in Italia paga ogni anno il 32,6% dell'Irpef.
Pago le tasse e le pago volentieri anche per aiutare chi è meno fortunato di me.
Non pago le tasse perché finiscano nel congelatore di qualche consigliere regionale a cui non sono bastati (ogni mese) 6.327 euro di indennità di carica, 1.620 euro di indennità di funzione e 4.219 di rimborso forfettario, pure esentasse. Rimborso, bene ricordare, che vi siete aumentati dopo lo scandalo dei rimborsi. Se esiste un progetto “Dentiere ai poveri” i soldi delle nostre tasse devono finire in bocca ai poveri, non nelle tasche di amici, o presunti tali.
Se un consigliere regionale non sa come pagare il mutuo fa come fanno milioni di cittadini alle prese con una crisi che sembra non finire mai: si tira su le maniche e cerca di guadagnare i soldi onestamente. O rinuncia. Non è difficile, via.
In Lombardia, sul fronte corruzione, evasione fiscale e criminalità organizzata siamo stanchi di chiacchiere.
 "L'Italia è fatta, ora facciamo gli affari nostri" scriveva nel 1892 lo scrittore napoletano Federico De Roberto nel suo romanzo “I Viceré”, storia di una famiglia dalla spiccata avidità, dalla sete di potere e dalla corruzione, non solo morale.
Che l’idea del romanzo sia venuta al De Roberto durante il suo breve soggiorno in Lombardia, forse non fu solo un caso.

Johannes Bückler

27 Febbraio 2016 - Corriere della Sera - Bergamo - Leggi qui >>>>>

lunedì 8 febbraio 2016


Il patto della staffetta.

28 novembre 1986 

Dopo essersi garantito l’avvicendamento a Palazzo Chigi, Ciriaco De Mita dimostra di non sapere esattamente come comportarsi. In primavera il Presidente della Repubblica manderà alle Camere il nuovo Presidente del Consiglio. Un democristiano naturalmente. Però lui vorrebbe restare a piazza del Gesù. Ad Andreotti e Forlani la cosa non par vera e si dimostrano subito entusiasti della cosa. Ora si tratta solo di aspettare. La primavera non è lontana.

17 Febbraio 1987 
Oggi Craxi è stato ospite della trasmissione Mixer di Giovanni Minoli. Nell’intervista in pratica ha sconfessato il famoso “patto della staffetta” di cui De Mita si è molto speso per tenere buono il suo partito.
Il patto prevede (o meglio prevedeva) in primavera il passaggio delle consegne. Craxi se ne deve andare lasciando il posto a un rappresentante della Democrazia Cristiana. Invece...


Craxi si è presentato alla Camera per liquidare la staffetta, sostenendo che è: "un’invenzione e un abuso"
L’intervista a Minoli fu una provocazione premeditata da Craxi. Infatti, prima di iniziare la trasmissione, aveva chiesto a Minoli se fossero presenti dei giornalisti e alla risposta affermativa aveva sorriso. Terminata la registrazione commentò: ”E così abbiamo liquidato pure la staffetta”.
In quel momento non immaginava che, tra poco, a essere “liquidato”  sarebbe stato solo lui.

19 febbraio
La rappresaglia è iniziata. Sul decreto sulla fiscalizzazione degli oneri sociali la Dc ha votato col Pci e i missini. In pratica il Senato ha respinto tutti gli emendamenti proposti dal Governo. Il decreto è stato approvato con  una regalia agli agricoltori. In vista delle elezioni la Dc ha cominciato a seminare. Nella “raccolta voti" è maestra.
La spaccatura ormai è netta e sicuramente ci saranno ripercussioni nei prossimi giorni.

20 febbraio
Il gioco ormai si fa duro tra Dc e Psi. De Mita ha dichiarato:“E’ finito il tempo delle parole, comincia quella dei fatti. I democristiani si sentono traditi perché è stata rimessa in discussione la staffetta”. 
Non contento ha ricevuto al secondo piano di palazzo del Gesù i direttori dei maggiori istituti demoscopici per avere previsioni sul futuro elettorale. E chi vuole intendere intenda. 

4 marzo
Craxi si è dimesso.


9 marzo
Cossiga ha affidato l’incarico di formare un nuovo governo a Giulio Andreotti. 

25 marzo
Andreotti ha fallito. L’incarico viene affidato a Nilde Iotti.

31 Marzo
Nilde Iotti torna da Cossiga dicendo che esiste ancora la possibilità di un pentapartito.

7 Aprile
Cossiga respinge le dimissioni di Craxi e lo rimanda alle Camere.

9 aprile
La Dc (incavolata nera) ritira i suoi ministri dal Governo.

10 Aprile
Craxi rassegna di nuovo le dimissioni. Cossiga assegna l’incarico a Scalfaro.

14 Aprile
Scalfaro torna da Cossiga per comunicare l’esito negativo del suo tentativo.

15 aprile
Cossiga incarica Fanfani.

19 aprile
Governo fatto. Si va alle Camere.

Craxi non si è presentato alla cerimonia  per il rituale passaggio di consegne. Ha mandato  il fido Amato.

28 aprile
Il Governo Fanfani non ottiene la fiducia Si va a votare il 14 giugno. Un Governo elettorale a trazione democristiana. 

Durante la crisi di governo i partiti non si fermarono. C’erano da spartire le nomine alla Rai. 

Ricordate il contratto dei medici? Fu  firmato l’8 aprile proprio nello stesso momento delle dimissioni di Craxi. 15 mesi di scontri, di scioperi selvaggi. Mentre il Governo cercava disperatamente di tenere sotto controllo il deficit (si fa per dire…..tenere sotto controllo 100.000 miliardi di deficit), loro continuarono tranquilli. Il costo complessivo (si cercò di contenerlo a 1.000 miliardi) fu di 1.042 miliardi per i soli paramedici e 982 per il personale medico. In totale 2.024 miliardi di Lire. E ottennero questi aumenti: 
Medici a tempo pieno
Assistenti +41,11% - Aiuto + 41,14%  - Primario + 41,07%
Medici a tempo definito
Assistente +25,94% - Aiuto + 25,91% - Primario + 26,94%
Paramedici
Aumento medio di 155.000 Lire mensili oltre a tutti i benefici derivanti dalla revisione dell’inquadramento e dalla riparametrazione.
Inoltre:
115.000 capi operai passarono dal 4° al 5° livello con aumento stipendio del 16,5%.
160.000 infermieri salirono dal 5° al 6° livello – le caposala al 7° e i direttori all’8°
A tutti i medici venne aumentata indennità di pronta reperibilità del 40%. + incentivi di produttività dell’11,5%.
Agli assistenti con 5 anni anzianità doppio scatto.
L’orario di lavoro venne ridotto di due ore per tutti.
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Chiaro che dopo il rinnovo del contratto dei medici l’obiettivo dei 100.000 miliardi di deficit cominciò a scricchiolare. e non poteva essere diversamente. Per gli aumenti contrattuali dei dipendenti pubblici nella Finanziaria '87 erano stati stanziati 2.384 miliardi + 2.855 per i due anni successivi per un totale di 8.094 miliardi di Lire. Cioè il 13% di aumento medio per coprire il tasso d'inflazione programmato (6% nell'86, 4% nell'87 e 3% nell'88). Nel febbraio '87 la Banca d'Italia fece sapere che probabilmente il 13% di aumento medio previsto sarebbe arrivato (con i nuovi contratti) al 15%. In pratica rifacendo i conti agli 8.094 miliardi dovettero aggiungere altri 1.500 miliardi. Ma rifacendo ancora i conti si accorsero che servivano invece 11.824 miliardi. In pratica avevano sbagliato tutte le stime. Ma era facile prevederlo se ad ogni contratto inserisci clausole che prevedono aumenti di anzianità non previsti, agevolazioni per passaggi a livelli superiori in modo automatico o indennità varie a destra e a manca.

Ricordo che quando ne parlai con un vecchio democristiano la sua risposta fu: “Tranquillo, lo sconquasso dei conti pubblici di regola va di pari passo con un aumento di voti nelle urne elettorali”. Già. 

Resta solo da chiedersi dove ci porterà questo continuo indebitarsi. Fino a quando reggerà il sistema? Non ci si può indebitare all’infinito. Mio padre (imprenditore) odia fare debiti. Continua a ripetermi che quando hai molto, ma anche molti debiti, non ti puoi considerare ricco.

Il deficit (e con esso il debito) stava crescendo in un modo incredibile. Lo sapevano tutti, cittadini compresi. Malgrado ciò continuarono a chiedere sempre di più. Anche senza Governo.

I pensionamenti anticipati a carico dello Stato, l’assunzione di dipendenti pubblici malgrado il blocco delle assunzioni, 7 miliardi per il settore del pomodoro (una regalia), e così via...

Sia chiaro, io tengo via tutto. Non vorrei che fra 20 o 30 anni qualcuno si metta a tranciare giudizi dimenticando com'è stato governato il Paese in questi anni. Creando ricchezza, ma depredando il futuro dei nostri figli. Che, ne sono certo,  non ce lo perdoneranno mai.

Ah, dimenticavo. Craxi lasciò fare, convinto che prima o poi sarebbe tornato alla guida del Paese. Si sbagliava. Quella fu l'ultima volta. Non ci tornerà mai più. 

Al prossimo assalto alla diligenza…

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L'enorme debito pubblico che abbiamo (e che blocca il Paese), non è la conseguenza di chissà quali oscuri complotti, ma il risultato matematico dell’operato di governi con la complicità di buona parte del Paese.
Quei governi stavano mangiando il futuro dei nostri figli e a tutti stava bene.
Proprio a tutti no, ma questa è un'altra storia.

E lo chiamavano governare. (1) (2) 3 (4) (5) (6) (7) (8) (9) (10) (11) (12) (13) (14)